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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
A cent’anni dalla sua scomparsa che cosa rimane di Italo Calvino, e rimarrà anche dopo?
La prima risposta chiama in causa un suo saggio, Perché leggere i classici (Mondadori, 1995), che ci offre diverse definizioni del classico, così riassumibili: classico è un libro che resiste all’usura del tempo per i suoi infiniti significati e messaggi.

Se si accetta la definizione, sono dei classici i migliori romanzi di Calvino – quelli de “I nostri antenati” ma anche quelli di gusto sperimentale ispirati dal gioco combinatorio dell’ultima sua produzione – e come tali destinati a salvarsi dalla tirannia del tempo, e classico è Calvino stesso, un autore con cui si dovrà fare i conti anche nei prossimi cent’anni per tutto quello che ha detto e continuerà a dire con le sue pagine.
La seconda risposta rinvia al suo libro postumo, Lezioni americane. E’ noto come esso sia nato: Calvino avrebbe dovuto tenere, nell’autunno del 1985, un ciclo di conferenze all’Università di Harvard se, a seguito di un ictus, il 19 settembre dello stesso anno non fosse morto. Lo scrittore aveva preparato cinque conferenze e contava di prepararne una sesta, gli scritti vennero pubblicati da Garzanti nel 1988 col titolo, scelto dalla vedova, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Un libro testamento, potremmo definirlo: testamento di Calvino ma anche di un secolo, il Novecento, che in punta di morte, dispone sull’eredità del suo patrimonio letterario e non. Ecco perché le Lezioni americane, tra i libri di Calvino, è quello che a un secolo dalla sua scomparsa assume più rilievo e risulta più profetico. Trascorso il primo ventennio del 2000, possiamo accertare la veridicità di quelle “lezioni”, ovvero se di quei lasciti si sia finora fatto o meno tesoro.
Nelle “Lezioni americane” Calvino si sofferma sui valori che il Novecento tramanda al Terzo Millennio: valori letterari ma anche, in senso lato, della comunicazione. Partendo da quello più importante e seguendo, nella trattazione, un ordine gerarchico decrescente.
Il primo è la leggerezza: compito della letteratura a fronte della drammaticità e pesantezza del mondo è di rappresentare la realtà con lievità, non eludendo i problemi ma alleggerendoli con la grazia di una scrittura sobria e priva di superflue esuberanze: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso”; leggerezza che s’impone, al di là della letteratura, nella trasformazione dei cicli produttivi e nella comunicazione: “La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici”. Nell’attuale panorama letterario, soprattutto italiano, purtroppo non si notano molti autori che sappiano dare qualche pennellata di leggerezza a ciò che li e ci circonda e che è alquanto greve.
Il secondo valore è la rapidità. Un testo letterario tanto é più efficace quanto è più coinciso con rapidi e agevoli collegamenti tra le sue parti. Il suo messaggio deve essere veicolato in modo che venga colto con rapidità. La rapidità mentale è essenziale in un mondo in continuo e veloce mutamento al quale la comunicazione – rapida ed essenziale – deve adeguarsi. Sia nella scrittura letteraria che nell’informazione oggi prevale la verbosità ridondante.
Il terzo valore é l’esattezza. La letteratura crea immagini e perché queste siano nitide vanno definite in ogni dettaglio con un linguaggio preciso in cui nulla rimanga indeterminato. Oggi, con la tendenza alla proliferazione di comunicazioni vaghe e approssimative, per il Terzo Millennio é un’eredità da non sperperare.
Quindi la visibilità: chi fa letteratura deve tradurre le immagini in parole, svilupparle in testi che ne restituiscano la lividezza, i toni e i colori, e si sa quanta importanza assumono, ogni giorno di più, le immagini nei diversi canali di comunicazione.
Per ultimo, la molteplicità. In un mondo oltremodo intricato crescono a dismisura le fonti, i saperi, le modalità espressive che convergono in un’opera letteraria. A proposito Calvino – che accompagna la disamina di ciascun valore con tantissime citazioni letterarie che spaziano dall’antico al contemporaneo – richiama Carlo Emilio Gadda come esempio di un autore in cui trova composizione il groviglio di visioni e punti di vista differenti.
La sesta lezione, come detto, Calvino non ha fatto in tempo a scriverla: sarebbe stata quella sulla coerenza, e la coerenza, s’immagina, avrebbe fatto da collante a tutti gli altri valori.
In estrema sintesi qual é il monito di Calvino agli uomini del Terzo Millennio? La sfida, in una società sempre più complessa, a un supplemento di chiarezza, semplicità e completezza nell’universo della comunicazione, affinché tutto possa essere intercettato, colto e detto nel modo più efficace e accattivante. Una sfida che al momento sembra non si stia tentando sufficientemente di far propria.
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