L’inchiesta esemplare per Livatino e le indagini stravolte per Borsellino
Rosario Livatino e Paolo Borsellino. Due magistrati in prima linea contro cosa nostra. Due delitti di mafia. Due opposti epiloghi giudiziari.
Uno strano destino accomuna il 28 esimo anniversario dell’assassinio del Giudice Rosario Livatino e l’avvio dell’ennesimo processo per la strage di via D’Amelio, a Palermo, dove con un’auto bomba vennero massacrati il Procuratore Borsellino e i cinque agenti di scorta.

E’ il destino della verità accertata e della verità negata. L’individuazione e la condanna all’ergastolo dei mandanti e dei killer di Livatino, ed invece l’assoluta, terribile, mancanza di verità per Borsellino. Un’assenza di verità e giustizia aggravata da uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, con un falso pentito e quattro processi.
A pochi giorni dall’avvio a Caltanissetta del nuovo processo per tentare di fare luce sui mandanti dei depistaggi che hanno inquinato le indagini sulla strage del 19 luglio del 1992, l’anniversario dell’uccisione del 38 enne magistrato Rosario Livatino evidenzia che quando le indagini sono rigorose e tempestive, capimafia e sicari responsabili vengono individuati e condannati. E il contesto del delitto pienamente ricostruito.
Livatino fu braccato e ucciso lungo la statale Agrigento-Caltanissetta, mentre senza scorta e con la sua utilitaria si recava al Tribunale di Agrigento. Grazie ad un coraggioso testimone i tre killer vennero individuati e arrestati.

Per non lasciare tracce la mafia agrigentina li aveva arruolati fra i “picciotti” emigrati in Germania. Erano partiti dalla stazione di Mannheim ed erano esperti di assassini su commissione e in trasferta, perché avevano già ucciso un altro magistrato, Antonino Saetta, freddato col figlio Stefano, e il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli.
Per Livatino nessuna omertà, nessun depistaggio, testimoni oculari, prove certe e ulteriori conferme dal pentimento autentico dei sicari.
Per Borsellino tutto il contrario e uno sconvolgente buco nero della giustizia. Un buco nero della democrazia e della stessa credibilità delle istituzioni dei nostro Paese.
Il 3 ottobre nella chiesa di S. Alfonso ad Agrigento si chiuderà in maniera pubblica la fase diocesana del processo di Canonizzazione del Giudice Rosario Livatino e tutti gli atti e oltre 4mila pagine di testimonianze e documenti passeranno in Vaticano per l’ulteriore verifica ed istruttoria del Tribunale della Congregazione per la causa dei Santi per la Beatificazione del magistrato assassinato dalla mafia.