Dopo la mafia a tavola dei tanti ristoranti con coppole e lupare sulle insegne, cosa nostra diventa un set turistico. L’attrazione turistica di un malinteso contesto commerciale che sprofonda in un cattivo gusto pseudo giustificazionista, che supera di parecchi anni luce perfino il cinismo del pecunia non olet. Perché la mafia non solo puzza, ma gronda di sangue e di morte.
Queste in sintesi le notizie riportate dalle agenzie di stampa:
“Immergetevi nel mondo affascinante della mafia siciliana. Questa la proposta di un tour operator, promossa anche con un video in cui si ricostruisce un agguato. Il tour guidato, che include il pranzo e costa circa 60 euro, porta i turisti in alcuni dei luoghi epicentro dei più gravi delitti e delle più gravi stragi compiute dalla mafia nella Sicilia occidentale. Frequentato soprattutto da stranieri é un tour culturalizzante che si propone di abbattere certi stereotipi“.
Definire testualmente culturalizzante un tour turistico su un fenomeno intrinsecamente criminale come quello mafioso non soltanto rischia di apparire aberrante, ma anche civilmente immorale. Al di là degli intenti economicamente speculativi, l’iniziativa potrebbe infatti attribuire un malinteso alone di fascino pittoresco a delitti e profitti di capimafia feroci e spietati.
E quel che peggio potrebbe ottenere l’effetto di vanificare il sacrificio o addirittura sostanzialmente di irridere alle vittime delle cosche. Di tutte le vittime, dai rappresentanti delle istituzioni, trucidati per aver fatto il loro dovere, applicato le leggi e lottato contro cosa nostra, ai semplici cittadini colpiti a morte casualmente e dimenticati da tutti. Emblema e parabola di una Sicilia perennemente vittima della maledizione della mafia e del Gattopardo.
Per evitare equivoci, non invocare divieti, ma invitare alla saggezza basterebbe ripensare alle parole dello scrittore americano John Steibeck: “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone…..”