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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
La vita é complicata un pò dovunque. Ma ci sono territori in cui lo é un pò di più. La Sicilia è uno di questi.
Dopo le opere di Pirandello, Sciascia e Camilleri, lo attesta anche questo romanzo (breve) di Santo Lombino Né luna né santi (Navarra, Palermo 2021, pp. 143, euro 12,00). Un noir ambientato nel primo dopoguerra (1920 – 21) a Torrebruna, un Comune realisticamente immaginato dell’entroterra isolano.
Attraverso la narrazione autobiografica, diaristica, del giovane protagonista (il venticinquenne Francesco Marretta) apprendiamo dell’assassinio del parroco; dell’imputazione di un giovane reduce, delle fasi del processo con la sfilza di testimoni d’ogni rango.
La conclusione – che ovviamente non va svelata nella recensione di un giallo – é affidata a un sogno, probabilmente più veritiero di tante evidenze empiriche diurne.
Ma é una conclusione inconclusa: al lettore il diritto, a cui per altro non può sottrarsi, di scegliere tra alcune ipotesi delineatesi nel corso del racconto.
Un pò come è avvenuto per tanti delitti – eccellenti o meno (ma le vittime non hanno tutte uguale dignità?) – nella storia anche recente della Sicilia, di cui é stato possibile qualche volta individuare gli autori materiali ma quasi mai i mandanti segreti.
L’interesse del testo va comunque al di là del registro criminale, estendendosi all’ambito storico-antropologico: come afferma Bernardo Puleio nella Postfazione, “appare vera e vivida la vita del paese come se noi fossimo in grado di vedere dinanzi ai nostri occhi i personaggi, molti dei quali veramente vissuti, che l’autore ci propone. Viene realizzata, sapientemente e con naturale fusione, una ricostruzione in cui, ai documenti d’archivio che rappresentano le storie e le presenze anche della gente comune nei quartieri e nelle strade del paese, si somma la memoria visiva dei ricordi autoptici vissuti in prima persona dall’autore”.
Quanto al registro linguistico, non si può non concordare con il parere di Nicola Grato che, nella Prefazione, nota: “Pacata e sobria appare la lingua adoperata da Lombino, in alcuni luoghi del racconto questa assume caratteristiche fiabesche per il suo carattere principalmente orale”. E “corale”.
Alla fine, l’intreccio fra i contenuti e la forma letteraria trasferisce il lettore in una zona intermedia fra la cronaca e la finzione, dove è difficile – anzi impossibile – distinguere l’una dall’altra. Ma non poteva essere altrimenti, stando ad una dichiarazione preliminare dell’autore stesso: “L’osservazione di questi accadimenti mi ha comunque convinto che la realtà spessissimo supera la fantasia. Almeno la mia”.