Lo stress acuto rappresentato dalla pandemia ci renderà più socievoli o più scontrosi?
In condizioni normali, lo stress è considerato disadattivo, capace cioè di minare la qualità delle relazioni sociali e le esperienze empatiche.
Può rivelarsi tuttavia un meccanismo psicobiologico essenziale in grado di predisporre l’organismo umano a reagire a circostanze particolarmente difficili.
Occorre ricordare però che le ricerche effettuate per sperimentare tale meccanismo si riferiscono a soggetti sani, che non rivelino né patologie cliniche, né disfunzionalità nei comportamenti sociali.
Si ritiene infatti che coloro che presentino un background relazionale negativo e vari disturbi della personalità prima dell’esposizione allo stress, possano anzi vedere acuiti i propri squilibri.

Giorgia Silani, ricercatrice dell’Università di Vienna, ci informa di alcune ricerche che testimoniano il fatto che lo stress acuto induca reazioni prosociali di fiducia, affidabilità e condivisione negli esseri umani.
Un recente studio a riguardo è stato condotto dai ricercatori von Dawans, Fischbacher, Kirschbaum, Fehre Heinrichs delle Università di Friburgo, Konstanz, Kreuzlingen, Dresda e Zurigo.
“In questo esperimento sociale– spiega Silani a zerozeronews – i partecipanti vivono una condizione di stress acuto, indotta attraverso il test di stress sociale di Treviri (una combinazione di procedure messa a punto nel 1993 all’Università di Treviri da Clemens Kirschbaum. Ndr). L’obiettivo è confermare se gli individui di sesso maschile si comportino in modo più aggressivo (“fight or flight”, combatti o fuggi) o prosociale (“tend-and-befriend”, presta cura e soccorri) di fronte a un fattore di stress sociale rispetto a situazioni prive di minaccia. A questo scopo i partecipanti reclutati per partecipare allo studio erano tutti di sesso maschile”.
Ipotizzando che lo stress sociale faciliti comportamenti prosociali, sono stati messi in atto una serie di giochi sequenziali a coppie, alcuni di tipo prosociale altri antisociali, resi più credibili dalla messa in palio di premi in denaro, nei quali i partecipanti prendevano decisioni (fidarsi da parte dell’uno o tradire la fiducia da parte dell’altro) in condizioni di stress psicosociale acuto.
Durante l’esperimento veniva effettuato un monitoraggio continuo di parametri altamente predittivi dello stress psicosociale, come il livello di cortisolo e la frequenza cardiaca, registrando aumenti significativi nel tempo dell’induzione dello stress e una diminuzione durante la condizione di controllo.
“I risultati dello studio – continua Silani – hanno portato a ritenere che un’esposizione a stress psicosociale acuto possa effettivamente potenziare il comportamento prosociale negli uomini, aumentando la fiducia, l’affidabilità e la condivisione nelle interazioni sociali”.
Questa conclusione è in linea con l’idea che gli esseri umani abbiano la tendenza a fornire e ricevere protezione reciproca all’interno dei gruppi durante i periodi di minaccia (Baumeister & Leary, 1995).
“Tali comportamenti prosociali – conclude la ricercatrice – possono essere considerati una risposta protettiva funzionale all’esposizione allo stress che favorisce un’attitudine “tend-and-befriend” in risposta a una vera e propria minaccia di specie quale è la pandemia”.
Questo modello teorico, originariamente elaborato da Shelley E. Taylor e dal suo gruppo di ricerca presso l’Università di Los Angeles, California (Psychological Review, 2020), si riferisce in particolare alla protezione della prole e al desiderio di appartenenza a un gruppo sociale per la difesa reciproca.
Gli esseri umani hanno la tendenza ad affiliarsi in gruppi all’interno dei quali possono fornire e ricevere protezione in tempi di minaccia. Il prendersi cura degli altri compiendo attività educative volte a proteggere se stessi e la propria progenie, promuovendo così la sicurezza e riducendo il disagio, e la creazione e il mantenimento di social network possono essere utili in situazioni di stress.
La base neuroendocrinologica di questo sistema di cura e attaccamento è l’ossitocina, l’”ormone socievole” prodotto dall’ipotalamo in condizioni di stress che espande gli istinti sociali e incrementa le capacità empatiche e l’inclinazione a cercare aiuto e conforto negli altri.
Il modello “tend-and-befirend” è applicato principalmente alle donne, più inclini a curare e farsi consolare, mentre al contrario ci si aspetta che gli uomini mostrino principalmente risposte di lotta o fuga dallo stress (S. E. Taylor, 2006).
Se dunque da una parte è innegabile che le alterazioni fisiologiche a seguito di stress cronico fisico o psicologico, come aumenti delle misure cardiovascolari e neuroendocrine, siano collegate allo sviluppo di numerose patologie (Chrousos, 2009; McEwen, 1998), è stato tuttavia anche dimostrato da numerosi studi epidemiologici che le interazioni sociali positive, esercitano effetti potenti e benefici sulla salute e sulla longevità (House, Landis e Umberson, 1988; Seeman, 2000; Uchino, Cacioppo e Kiecolt-Glaser, 1996).
Una migliore comprensione delle potenziali disfunzioni nell’interazione tra stress e comportamento potrebbe aiutare i ricercatori e i medici a personalizzare nuove strategie diagnostiche e terapeutiche per i disturbi legati allo stress come la depressione o disturbi mentali che coinvolgono deficit sociali come il disturbo d’ansia sociale e il disturbo borderline di personalità.
Non bisogna quindi temere che lo stress acuto cui le persone sono state sottoposte durante il lockdown induca necessariamente sentimenti negativi, conflitti sociali o comportamenti aggressivi.
E’ probabile anzi che il desiderio di socialità coltivato durante l’isolamento possa favorire comportamenti pro sociali, di cura e soccorso. Il modello “tend-and-befriend” risulta infatti essere un meccanismo di coping intrinseco ed efficace negli esseri umani sani nei momenti critici.
Facebook Comments

Maggie S. Lorelli, dopo la laurea in Lettere all’Università degli Studi di Torino, si laurea in Pianoforte al Conservatorio “G. Verdi” di Torino e in Didattica della Musica al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma. Dopo un’ esperienza decennale alla Feltrinelli ha collaborato come autrice con Radio 3 Rai e Radio Vaticana e condotto programmi musicali. Ha svolto un tirocinio come giornalista presso l’agenzia di stampa Adnkronos, scrive per varie riviste musicali specializzate, ha al suo attivo numerosi racconti e “Automi”, il suo romanzo d’esordio. Attualmente è docente di Pianoforte al Liceo musicale.