Il ritorno della Bluetongue sta provocando pesanti danni per gli allevatori meridionali. La malattia infettiva, non contagiosa, che colpisce i Ruminanti, attraverso punture di insetti provoca un serio impatto socio-economico ma non ha conseguenza per la salute dell’uomo.
È conosciuta anche con il nome di lingua blu o di febbre catarrale dei piccoli ruminanti: la pecora, che è la specie più sensibile all’infezione e presenta sintomi clinici anche gravi, ma anche bovini e caprini che però sono più resistenti e generalmente superano la malattia con sintomi lievi o assenti. Dopo sporadiche incursioni nella penisola iberica e nel 1998 nelle isole greche di Rodi e Lesbo si diffuse in Bulgaria, Macedonia, Serbia, Croazia, Albania e nel 2000 in Corsica e Sardegna. Ora gli ultimi casi di Bluetongue si registrano in Sicilia, con focolai scoperti a marzo nelle province di Catania, Enna, Messina e Siracusa.
Ma “non c’è nessun allarme per gli allevatori siciliani, anche se l’attenzione deve essere mantenuta sempre alta” ha assicurato in un convegno a Palermo Annalisa Guercio, direttrice dell’area Diagnostica virologica dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia.
“La situazione – aggiunge Annalisa Guercio – è sotto controllo, grazie a un efficace sistema di sorveglianza messo in atto dal ministero della Salute fin dal 2001”. Il sistema di controllo sierologico attuato dal Ministero della Salute prevede la suddivisione dell’intero territorio nazionale in “aree”, di 20 chilometri per lato, contenente ognuna 58 animali “sentinella”, ovvero animali non vaccinati che vengono controllati mensilmente per verificare l’eventuale circolazione virale. Il virus penetra nei ruminanti mediante la puntura di insetti appartenenti al genere Culicoides, si moltiplica nei linfonodi e si diffonde in tutto l’organismo. In Sicilia, negli ultimi 15 anni c’è stato un andamento altalenante della malattia.
Dal 2004 al 2015 sono stati esaminati più di 226mila campioni di siero prelevati dai bovini sentinella, di cui quasi tremila sono risultati positivi. I casi più recenti, con la presenza dei sierotipi 1 e 4, si sono verificati a marzo di quest’anno nelle province di Catania, Enna, Messina e Siracusa.
Cifre che non devono fare allarmare gli allevatori, perché non ci sono notizie di animali morti, ma che dimostrano come il virus continui a circolare. “l ruolo dell’Istituto Zooprofilattico nella prevenzione della malattia – spiega Giuseppa Purpari, responsabile del laboratorio di analisi – è fondamentale, perché, attraverso il nostro laboratorio,analizziamo i campioni provenienti da tutti gli allevamenti siciliani, che poi inviamo al centro di referenza nazionale”.
“Anche la Sicilia è stata divisa in aree di controllo sierologico – aggiunge – e grazie a questo metodo siamo in grado di rilevare, nel periodo compreso tra due controlli successivi, la diffusione del virus, riuscendo a raggiungere il 95 per cento di probabilità di scoprire la presenza di animali infetti”.
La Bluetongue è nella lista delle malattie da notificare al World Organisation for Animal Health, l’organizzazione mondiale per la salute degli animali.
La conferma della malattia è seguita dall’abbattimento di tutti i capi sensibili nell’allevamento e dall’applicazione del provvedimento di zona di protezione nell’area in un raggio di 10 km dal focolaio: questo abolisce la possibilità di spostare gli animali dalla zona colpita, con conseguente blocco del commercio di bestiame. Generalmente alla conferma di un focolaio di Bluetongue segue l’obbligo di vaccinazione di tutti i ruminanti domestici del territorio interessato (ASL,provincia o regione); è importante individuare il sierotipo virale responsabile del focolaio per scegliere il vaccino adatto, visto che gli anticorpi contro un sierotipo di BTV non sono del tutto protettivi verso gli altri. L’utilizzo di insetto-repellenti sugli animali e la loro stabulazione in luoghi chiusi durante le ore serali possono contribuire a ridurre il rischio di trasmissione.