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Quei sette esistenziali giorni delle anime perse

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Rubrica di critica recensioni anticipazioniSpielgerg e Milani film a confronto

By Dino Petralia

Nell’ultimo film di Paolo GenoveseIl primo giorno della mia vita“, in una combinazione degli opposti in cui primo e ultimo s’identificano, la sorte benigna di quattro personaggi, colti nell’attimo fatale del suicidio, autorizza una loro momentanea sopravvivenza, affidando al rispettivo arbitrio la decisione di una conferma della fine o di un vitale ripensamento.

Quei sette esistenziali giorni delle anime perse
Paolo Genovese

Una sopravvivenza asensoriale e diafana, priva di bisogni primari ed invisibile al prossimo, relegata in un solitario albergo cittadino ma non espropriata del corredo sentimentale utile a ciascuno per valutare quella diversa prospettiva che un ignoto traghettatore ha proposto loro. E per agevolarne la scelta l’innominato concede ai quattro invisibili spettatori la possibilità di uno sguardo sull’immediato futuro, sia nella versione del dopo morte in fotogrammi di una vita che prosegue comunque in loro assenza, sia in una fugace sequenza esistenziale, organizzata come proiezione in una sala vuota di un cinema antico di una Roma notturna e deserta, di un futuro questa volta in loro vitale presenza.

A sostegno della decisione soccorre anche la concessione di una giornata di libera uscita tra la gente, con momenti di sensorialità capaci di far gustare – o continuare a ripudiare – la vita perduta, come il pranzo fisicamente realistico sul trabocco e l’allegra conoscenza che tra i quattro sospesi fa Emilia – la giovane ginnasta insoddisfatta del suo eterno secondo posto – di un coetaneo che le si siede accanto con invitante sorriso.

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Mastrandrea, Servillo, Buy, Sara Serraiocco e Gabriele Cristini

Ancora un desiderio a scelta da esaudire e il catalogo dei vantaggi loro concessi è completo. Si tratta adesso di scegliere ritornando all’istante dell’atto e così decidere se continuare ad assecondare la pulsione suicida o piuttosto virare gli eventi verso una nuova prospettiva esistenziale, consci che la felicità é di pochi ma che la vita riserva e promette comunque.

La sopravvivenza del dolore nell’anomalo gruppo viene tuttavia lentamente erosa dal progressivo insinuarsi di un fremito sentimentale, evolvendo in una languida e sottintesa nostalgia di felicità; è così che al cospetto di un palpito filiale di Arianna verso il piccolo Daniele che ne assapora il calore materno, al segnale di una scossa d’interesse di Emilia per il giovane avventore che le si avvicina sorridente, l’amore per la vita sigla il suo primato vincente sulla morte.

Non per tutti allo stesso modo però.

Mentre la morte della figlia adolescente per Arianna, la frustrante delusione da eterna seconda di Emilia, la esagerata voracità di ciambelle indotta dal padre in Daniele per guadagnare primati di followers in rete, erano tutti motivi palpabili di insofferenza esistenziale, l’assenza di una ragione giustificante in Napoleone e la presenza in lui di un malessere abissale, così intimo e irrazionale, non gli danno tregua né sollievo neppure in quel limbo di vita sospesa, non esonerandolo dal gesto che sceglie di compiere nuovamente lanciandosi dal ponte. Ed è proprio in quel frammento scenico che il timbro del regista compone la sua impronta finale, offrendola agli spettatori ancora una volta come messaggio di macerante ma concreto ottimismo: Napoleone muore ma al tempo stesso rivive negli analoghi panni del suo momentaneo traghettatore, afflitto in vita dal male oscuro e suicidatosi pure lui gettandosi giù da un ponte. E da rinnovato motivatore d’anime, come il suo provvidenziale angelo s’impegna da quel momento a riacciuffare la vita degli altri nell’attimo fuggente del loro volontario trapasso, assegnando ad ogni eletto una seconda chance di libera autodeterminazione.

Esattamente com’é il  jazz, libero e improvvisante, non a caso canticchiato dall’ignoto autista nell’iniziale transito verso l’albergo.

Quei sette esistenziali giorni delle anime perse
Margherita Buy e Toni Servillo

L’artificio filmico e la volutamente meccanica recitazione d’interpreti di qualità – Toni Servillo (l’ignoto) e Margherita Buy (Arianna) che fanno qui ancora una volta egregiamente Servillo e la Buy, la giovane Sara Serraiocco (Emilia), il giovanissimo Gabriele Cristini (Daniele) e un sempre efficace Valerio Mastandrea nei panni di Napoleone, oppresso da un incrollabile male di vivere  – compongono un lavoro che riflette e fa riflettere, coerente con la linea narrativa del Paolo Genovese di Perfetti sconosciuti e The Place curioso delle intime dissonanze e attento alle pieghe dei disagi esistenziali, in un’ottica analitica che la maestria del regista adegua al linguaggio filmico con accurata abilità. Quei sette esistenziali giorni delle anime perse

 

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Magistrato emerito, già Procuratore Generale di Reggio Calabria e capo del Dap
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