by Antonino Cangemi
Vi sono ricorrenze e ricorrenze. Tante non coinvolgono più di tanto la gente comune, poche la vedono partecipe. L’anniversario del decennale della scomparsa di Lucio Dalla è una di quelle che non passano inosservate, sia da parte degli appassionati di musica pop (le sue canzoni fanno parte del pop, ma di un pop di qualità) sia da parte di chi lo ha solo conosciuto come “divo” (termine che suona male nel suo caso) dei media.
La sua morte prematura ha infatti suscitato un sentimento diffuso di commozione. Merito della straordinaria umanità e affabilità di un personaggio pubblico autentico come pochi.
I mass media offrono numerosi esempi di figure (talvolta figuri) avvolte da una nebulosa mistificazione. La gente comune quasi sempre avverte l’edulcorata e adulterata sostanza di uomini di spettacolo, opinionisti, politici, conduttori televisivi che invadono la loro quotidianità. Sicché le poche persone salite sulla ribalta della notorietà dotate di schiettezza e di reale spessore umano lasciano il segno, bucano il cuore di chi ogni giorno conduce la sua esistenza affrontando asprezze e gioie nell’anonimato.
Simili personalità, anche perché rare, finiscono per diventare familiari. Così è stato per un politico schivo ma espressione di specchiata onestà non solo intellettuale come Berlinguer, il cui funerale fu accompagnato da una partecipazione emotiva estesa anche a chi non condivideva la sua ideologia. Così pure opinion leader come Montanelli e Biagi lasciarono, alla loro scomparsa, vuoto e sgomento: chi li leggeva o li ascoltava in Tv sentiva che quelle voci, sincere e per certi versi imbarazzanti per il Palazzo, si spegnevano senza lasciare eredi.
Ma il cordoglio generale per la morte di Dalla ha anche un’altra spiegazione. Legata alla poesia.
Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo bisogno, almeno in alcuni momenti della nostra vita, di scavare dentro i meandri dell’interiorità, di scoprire e accarezzare sentimenti che tendiamo a tenere nascosti o perché di essi abbiamo paura o perché assuefatti alla grigia e prosaica routine delle necessità e consuetudini di ogni giorno. E che cosa, se non la poesia, può soddisfare questo nostro intimo bisogno?
Nel nostro paese la poesia, almeno nel Novecento e nel secolo appena iniziato, si è espressa in forme elitarie e non è riuscita a coinvolgere un pubblico vasto. Ne è prova lo scarso successo editoriale delle opere di poesie, destinate quasi tutte a una ristretta cerchia di cultori. I poeti scrivono per gli altri poeti cimentandosi non di rado in artifici lessicali o in composizioni criptiche ai più incomprensibili. Così non è stato, e non è, in altri paesi che hanno conosciuto e conoscono espressioni liriche di alto livello estetico godibili anche da chi possiede un bagaglio culturale medio: si pensi alla Francia e a Prevert, o alla Spagna e a Garcia Lorca.
In Italia la mancanza di una poesia “popolare”, con ciò intendendosi una poesia che non si rivolge solo agli “addetti ai lavori”, è stata sopperita dalla canzone d’autore. I brani di Gaber, De Andrè, Battisti, Dalla, non di rado autenticamente lirici, hanno toccato il cuore della gente comune, hanno soddisfatto quel bisogno di esplorare l’universo dei sentimenti. Ed ecco perché, dopo che uno dopo l’altro sono andati via, ci si sente più soli e il ricordarli, nelle ricorrenze, scalda l’anima.