Riconosciuta l’esistenza della mafia a Roma
Roma caput mafia. Mafia Capitale non è più una definizione, un titolo giornalistico, ma una verità processuale.
Una realtà sancita dalla Corte d’Appello di Roma, presieduta da Claudio Tortora, che ha ribaltato la sentenza di primo grado e riconosciuto la sussistenza dell’associazione mafiosa per sette dei 43 imputati del primo processo celebrato nella capitale per 416 bis, l’articolo del codice penale che delinea le specificità delle associazioni per delinquere di stampo mafioso.
Ai vertici di mafia capitale, secondo le accuse confermate dalla sentenza d’appello, vi erano l’ex terrorista neofascita dei Nar Massimo Carminati e il ras delle coop romane, Salvatore Buzzi. Per Carminati la sentenza di secondo grado prevede una riduzione della pena dai 20 anni del primo processo a 14 anni e sei mesi. Riduzione di condanna anche per Buzzi: dai precedenti 19 anni a 18 anni e 4 mesi.
Oltre che a Carminati e Buzzi i giudici hanno riconosciuto l’associazione per delinquere di stampo mafioso anche per Claudio Bolla (4 anni e 5 mesi), Riccardo Brugia (11 anni e 4 mesi), Emanuela Bugitti (3 anni e 8 mesi), Claudio Caldarelli (9 anni e 4 mesi), Matteo Calvio (10 anni e 4 mesi).
Condannati anche Paolo Di Ninno (6 anni e 3 mesi), Agostino Gaglianone (4 anni e 10 mesi), Alessandra Garrone (6 anni e 6 mesi), Luca Gramazio (8 anni e 8 mesi), Carlo Maria Guaranì (4 anni e 10 mesi), Giovanni Lacopo (5 anni e 4 mesi), Roberto Lacopo (8 anni), Michele Nacamulli (3 anni e 11 mesi), Franco Panzironi (8 anni e 4 mesi), Carlo Pucci (7 anni e 8 mesi) e Fabrizio Franco Testa (9 anni e 4 mesi).
“Riconosciuta fondatezza del nostro lavoro” ha affermato il sostiuto Procuratore Luca Tescaroli che assieme al Procuratore aggiunto Giuseppe Cascini ha rappresentato la pubblica accusa.
“Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate: lo abbiamo fatto in primo grado e lo faremo anche adesso. La Corte d’appello ha deciso che l’associazione criminale che avevamo portato in giudizio era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. Era una questione di diritto che evidentemente i giudici hanno ritenuto fondata” ha commentato Cascini che ha sottolineato come la sentenza d’appello rappresenti un “ punto d’arrivo di un intenso impegno e al tempo stesso di partenza”.
“La consapevolezza dell’esistenza anche a Roma e nel Lazio di forze criminali in grado di condizionare la vita economica e politica e di indurre timore nella popolazione” – ha affermato inoltre il Procuratore aggiunto Giuseppe Cascini- “resta il centro di riferimento delle iniziative giudiziarie, che devono necessariamente essere accompagnate dalla crescita della coscienza civile e dal risanamento della struttura della pubblica amministrazione”.
Fonti: Ansa AdnKronos Agi