Libia sempre in bilicoAccordo o miraggio ? E’ ancora presto per valutare l’effettiva portata della stretta di mano ad Abu Dhabi fra il premier del Governo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu, Fayez Al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar uomo forte della Cirenaica.
Ma l’intesa raggiunta negli Emirati Arabi rappresenta comunque una importante base di partenza per un primo concreto tentativo di stabilizzazione della Libia. Una stabilizzazione strategica per tutta l’area del Maghreb e per l’Italia.
La svolta era stata preannunciata dal recente vertice a Washington fra il Presidente Usa Donald Trump e il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
“L’incontro è avvenuto non tanto perché Haftar si sia ricreduto, quanto piuttosto perchè da mesi era sotto pressione da parte dei suoi alleati regionali e in particolare Emirati Arabi e Egitto che, peraltro, aveva già tentato una mediazione qualche tempo fa” conferma l’editorialista Michela Mercuri, docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei all’ Università di Macerata ed esperta di Libia.
- Haftar affidabile?
Il Generale è in una posizione di forza. Di conseguenza, è evidente che l’Italia, unico paese a sostenere Sarraj, qualora il Governo di Tripoli venisse messo in minoranza, rischierebbe di trovarsi in una posizione di svantaggio. Se il generale, in un’ottica futura, estenderà il potere anche a Tripoli il nostro ruolo verrà marginalizzato e saremo di nuovo bypassati dalla Francia e da tutti gli attori che hanno sostenuto fin qui l’ala di Tobruk. Questo in apparenza, perché gli eventi sono in evoluzione.
- Prospettive a breve termine?
I punti del presunto accordo prevedono: elezioni nel 2018 e una intesa per lo scioglimento delle milizie irregolari. Inoltre, si prevede un nuovo Consiglio composto – presumibilmente- da Haftar, dal presidente del parlamento di Tobruk Agila Saleh e dallo stesso Sarraj. Un progetto ambizioso che cela delle insidie.
- Quali?
In primo luogo Haftar si presenta sul tavolo con un parterre di alleati molto forti: tutti gli attori internazionali tranne l’Italia e a livello regionale l’Egitto e gli Emirati. Non solo, il Consiglio presidenziale è evidentemente sbilanciato verso l’ala di Tobruk. Il generale appare più forte che mai e ciò potrebbe condurre il Paese verso il modello Haftar, un sistema più militare e più avverso agli islamisti. Un pò come in Egitto. In tal caso le conseguenze in termini di recrudescenza jihadista non tarderebbero a farsi sentire.
- Il ruolo della Russia, sponsor di Haftar?
In questo avvicinamento potrebbe avere avuto un ruolo anche Mosca. Haftar per i russi si è dimostrato un alleato utile ma bizzoso. Ha fatto fallire in men che non si dica i colloqui del Cairo del febbraio scorso, rifiutandosi di incontrare Sarraj che si era presentato in Egitto con un piano politico utile per tentare un minimo accordo. Questo potrebbe avere infastidito non poco Putin che potrebbe avere spinto il generale a più miti consigli.
- L’accordo reggerà?
L’imprevedibilità del personaggio Haftar, i giochi di potere sul terreno, nonché l’instabilità di un paese in mano alle milizie da più di 5 anni non dovrebbe far cantare vittoria troppo presto. In Libia non ci sono solo Haftar e Sarraj, ma una serie di gruppi che controllano ampi territori e che non si riconoscono in nessuno dei due governi di Tripoli e Tobruk. Da questo punto di vista mi preoccupa molto il ruolo delle milizie di Misurata fin qui fedeli a Sarraj, che vedono Haftar come fumo negli occhi. Il gruppo islamista, composto da varie milizie, per un totale di circa 40.000 uomini, è praticamente “il terzo potere” nel Paese. Capire come prenderanno questo accordo e che ruolo vorranno svolgere nei futuri assetti libici sarà fondamentale. A parer mio, non accoglieranno Serraj – di rientro dagli Emirati Arabi – a braccia aperte.
- Nodo migranti?
Il memorandum che l’Italia ha siglato il 2 fabbraio col Governo Serraj appare appeso al filo dell’esito dell’accordo di Abu Dhabi