Pubblichiamo l’intervista rilasciata al Giornale di Sicilia dall’economista Salvatore Butera sulle cause e gli effetti della clamorosa bocciatura della magistratura contabile del bilancio del Governo regionale siciliano.
La Sicilia che non c’e’
Sulle rotte del Mediterraneo, assieme alla tragedia esponenziale dei migranti diventata ingestibile per il Paese, incrociano le tante, troppe, incognite che gravano sulla Sicilia. Incognite economiche prima ancora che politiche. A cominciare dalla scomunica della Corte dei Conti.
“La vicenda della sospensiva del giudizio di parifica del bilancio della Regione, peraltro avvenuta platealmente in corso di seduta solenne, certo non depone a favore di una Regione con le carte in regola per affrontare con i mezzi e i metodi adeguati le molteplici emergenze siciliane” afferma l’economista e saggista Salvatore Butera per anni Presidente della Fondazione Banco di Sicilia.
- Vie d’uscita?
“Credo che sia necessario mettere un punto a questa gestione. Di mettere un << a capo >> dopo un momento davvero negativo. In questo senso e proprio in questo la candidatura di Pietro Grasso poteva essere una grande occasione per una Sicilia e una Regione veramente rinnovate.”
- Come risollevare turismo, trasporti, industria, agricoltura, pesca che, nonostante le potenzialità, gli anni neri del collasso dei consumi e dell’occupazione hanno penalizzato pesantemente?
”Occorre tornare agli investimenti pubblici e privati che creino posti di lavoro. Tuttavia la crisi sembra finita e lievi fenomeni di crescita si registrano nel Paese e in misura molto minore anche nel Mezzogiorno”
- Moltissime le diagnosi, ma i programmi per far resuscitare economicamente l’Isola?
“Bisogna ricominciare dalle opere pubbliche in una Sicilia in cui coesistono autostrade vuote e viabilità ordinaria a rischio mortale, come sottolineano i ripetuti episodi di cronaca”
- Quanto ha inciso al Sud la crisi strutturale del Paese?
“ E’ essenziale la recente analisi del Governatore della Banca d’Italia Visco : quelli dal 2007 in avanti sono stati per l’Italia gli anni peggiori, ancora più gravi della crisi degli anni Trenta. Dal 2007 al 2013 il PIL è diminuito del 9%, la produzione industriale di un quarto, gli investimenti di un terzo, i consumi dell’8%. Da questo quadro occorre partire per tentare di capire dove siamo oggi, noi parte debole del sistema paese rispetto a dati di questa gravità.”
- Dati da default …
“Che riguardano anche il Mezzogiorno dove però il prodotto rimane fortemente inferiore al Centro Nord. Il Sud ha un PIL pro capite di oltre 17.000 euro per abitante che si confronta con una media nazionale di 27.000, ma con picchi estremi di 35.000 in Lombardia e di oltre 41.000 per la provincia di Bolzano. Si può in sostanza affermare che l’Italia fa registrare gli estremi massimi e minimi del prodotto per abitante in Europa. Al Nord vi sono dati paragonabili a quelli della Baviera, al Sud le province di Agrigento e Caltanissetta se la battono con le province calabresi ultime in classifica”
- Che fare?
“La Banca d’Italia di Palermo rileva e conferma come la ripresa economica iniziata nel 2015 è rimasta debole e non si è ancora diffusa alla generalità dei settori produttivi mentre i consumi stentano a crescere e l’occupazione sembra essersi fermata. Detto questo è altrettanto evidente che in Sicilia operano oltre 366 mila imprese, molte delle quali piccole e piccolissime ma altre efficienti, ben gestite, orientate all’esportazione. Bisognerebbe trovare il modo di aiutare queste ultime a rafforzarsi in primo luogo sul capitale e sul patrimonio e quindi sul piano gestionale.”
- Perché sostanzialmente manca un progetto di sviluppo complessivo per la Sicilia?
“Molti studi sono stati compiuti in questi anni anche da parte della Fondazione RES che ora purtroppo è venuta meno e questi lavori hanno identificato questi fenomeni di vitalismo economico e imprenditoriale. Non c’è dubbio che la Sicilia in questi anni dal ’92 in avanti è molto cambiata e ha dato luogo a uno sviluppo significativo del turismo e dell’eno-gastronomia. Ma non basta. Questo modello fondato su agricoltura e turismo, tanto vagheggiato anche in passato, non può essere sufficiente per una popolazione di oltre cinque milioni di abitanti con un mercato del lavoro di un milione e mezzo di addetti.”