Scelta di campo ufficiale e definitiva dei grillini: Matteo Salvini addio, Pd da mettere alla prova. Se è vero che il numero otto è simbolo della capacità di raggiungere risultati duraturi, allora si può dire che il vertice degli otto leader del Movimento Cinque Stelle nella villa di Beppe Grillo sul litorale toscano fra Livorno e Piombino, ha tracciato le direttrici politiche delle prossime settimane e forse dei prossimi mesi.
Più che un vertice è stato insieme una sorta congresso e un processo vero e proprio. Congresso della politica liquida che caratterizza il movimento, dato che assieme a Grillo e a Davide Casaleggio ha visto riuniti tutti i capifila delle correnti interne: Luigi Di Maio, Roberto Fico, Paola Taverna, Alessandro Di Battista ed i capigruppo parlamentari Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva.

Assise perché, pur senza calcare la mano, l’analisi della situazione ha evidenziato i molti errori commessi in questi travagliati mesi di governo gialloverde, le molte promesse clamorosamente non mantenute o, peggio, rimangiate, gli autogol e le cantonate.
Un vero e proprio implicito j’accuse al vice Premier e tre volte ministro Di Maio, con la micidiale stoccata finale della citazione del convitato di pietra Giuseppe Conte, che da solo, è stato sottolineato, è riuscito a capovolgere la disastrosa deriva di immagine per il precipitoso cedimento di Di Maio e di vari ministri 5 stelle, durante le concitate fasi del tentativo di arrembaggio di Salvini al Governo, all’inizio di agosto.
Senza la lungimiranza della mossa del Premier di parlamentarizzare la crisi, è stato in sostanza fatto notare a Di Maio, il leader della Lega avrebbe raggiunto il suo obiettivo: avvelenare i pozzi, mettere a soqquadro il Parlamento e andare alle elezioni anticipate ad ottobre.
Che fare dunque, si è chiesto il summit chez Grillo? Due le opzioni praticabili: verificare i margini per un governo di legislatura col Pd, oppure puntare al varo di un governo elettorale, o meglio di transizione, che metta in sicurezza i conti pubblici e porti il paese alle elezioni, ma nella primavera del 2020.
Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Roberto Fico, Paola Taverna avrebbero concordato sulla necessità di trasformare la crisi in una opportunità. La possibilità cioè di cambiare pagina e di ripartire da dove era iniziata la legislatura, dalla trattativa col Pd.
Per il Movimento potrebbe costituire l’ultima chance per recuperare i molti consensi perduti e risintonizzarsi con la base. E soprattutto in caso di elezioni anticipate riuscire a mantenere un ruolo parlamentare non residuale.
Di Maio si sarebbe detto scettico sulle reali possibilità di raggiungere un accordo con un Pd i cui gruppi parlamentari, avrebbe specificato, sono in mano a Matteo Renzi.
Secondo le ricostruzioni ancora parziali del vertice a villa Grillo, al Vice Premier sarebbe stato replicato che un Governo col Pd consentirebbe ai grillini di valorizzare al massimo il Presidente della Camera Roberto Fico, unico rappresentante istituzionale del movimento rimasto per così dire “incontaminato” e per questo apprezzato dalla base e dall’opinione pubblica.

Un Governo Fico potrebbe effettuare inoltre un ricambio istituzionale di esponenti del Movimento più vasto di quanto non possano fare gli alleati. Ricambio facilitato dai ministeri che dovranno essere sicuramente ceduti: infrastrutture, difesa, sud, giustizia, salute. E dai dicasteri che saranno lasciati liberi dalla Lega. A cominciare dal Viminale.
Ed a questo punto si sarebbe posto il problema del futuro ruolo dello stesso Di Maio. Problema che sarebbe stato per il momento accantonato, per non scoprire le carte durante la trattativa col Pd.
A portata di mano invece, in caso di probabile mancato reincarico, l’eventuale ricollocazione di Conte al Ministero degli Esteri.
“E’ duro fallire, ma è ancora peggio non aver cercato di avere successo”. Non si sa se a conclusione del vertice dei 5 Stelle qualcuno ha ricordato a voce alta questa considerazione del Presidente americano Theodore Roosevelt. Ma qualcuno degli otto l’ha certamente pensata.