Il vino come metafora dell’anima e esempio di eccellenza del made in Italy
Prima il vino o la poesia ai primordi della civiltà? Contemporaneamente, rispondono le cifre del consumo mondiale di vino.
E in particolare le cifre del vino italiano, come evidenziano i dati record del Made in Italy, che conquista nel 2016 la leadership internazionale della produzione, con circa 50 milioni di ettolitri e un incremento del 3% del valore dell’export, che raggiunge il massimo storico di sempre a 5,2 miliardi.
Un motore economico con 10 miliardi di fatturato, solo per quanto riguarda la vendita del vino, e con una filiera occupazionale di oltre 1,3 milioni di persone. Alla faccia del TTIP, il trattato-capestro di liberalizzazione commerciale fra Europa e Nord America.
Sembra di rileggere il XXV canto del Purgatorio di Dante Alighieri
“…E perché meno ammiri la parola
Guarda il calor del sol che si fa vino,
Giunto a l’omor che della vite cola! “
Il vino come metafora dell’anima: se non ti bastano le parole dette finora – spiega Dante – guarda l’esempio della vite da cui vien fatto il vino, sintesi del calore del sole e della terra.
Archiviata la vendemmia e conclusi i brindisi di fine anno, i bilanci evidenziano come il vino sia la prima voce dell’export agroalimentare nazionale del 2016. Un primato produttivo conquistato sorpassando la Francia.
Secondo i dati che emergono dall’analisi della Coldiretti il grande balzo in avanti è dovuto in particolare alla crescita della produzione vitivinicola in Veneto, in Emilia, Romagna, Piemonte, e dell’alta qualità della vendemmia in Trentino Alto Adige, in Sicilia e in Lombardia.
Si stima che la produzione Made in Italy 2016 è rappresentata per oltre il 40 per cento dai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), per il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola.
Per quanto riguarda le esportazioni, le performance dei prodotti nei singoli Stati fanno scoprire aspetti sorprendenti. A partire dal successo del vino tricolore in casa degli altri principali produttori, con gli acquisti che crescono in Francia (+5%), Stati Uniti (+3%), Australia (+14%) e Spagna (+1%). E non basta. Nella partia dello Champagne, lo italiano fa addirittura segnare un incremento sbalorditivo, pari al +57%.
Negli Stati Uniti sono particolarmente apprezzati il Chianti, il Brunello di Montalcino, il Pinot Grigio, il Barolo e il Prosecco. In Germania ai primi posti le bollicine italiane, assieme all’Amarone della Valpolicella e al Collio.
Il vino italiano all’estero è sinonimo di qualità e continua ad essere il prodotto agroalimentare più venduto in assoluto, aprendosi anche a nuovi mercati, ha affermato in una intervista a Radio Roma Capitale, Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti: “ E’ un risultato ragguardevole non solo per la viticultura ma soprattutto per l’intero settore dell’eno gastronomia italiana, settore del quale il vino è il prodotto di punta, l’elemento trainante. Oltre ai tradizionali mercati internazionali del nord Europa e dell’America, Cina, Giappone e Indonesia assorbono sempre più l’esport delle migliori produzioni italiane. L’unica incertezza, ma in in prospettiva, riguarda la Brexit perché l’uscita dall’Europa della Gran Bretagna potrebbe determinare un calo nelle esportazioni verso l’Inghilterra, che negli ultimi anni erano andate invece progressivamente aumentando.”
Secondo la Coldiretti, per ogni grappolo di uva si attivano ben diciotto settori di lavoro, dall’industria di trasformazione al commercio, dal vetro per bicchieri e bottiglie alla lavorazione del sughero per tappi, continuando con trasporti, accessori, eno-turismo, cosmetica, bioenergie e molto altro.
“In ogni caso – conclude il dirigente del settore economico della Coldiretti, Bazzana – la produzione del vino italiano, al contrario degli altri settori che contraddistinguono l’esport del made in Italy, dal manufatturiero, alla moda alle auto, ai mobili, non è delocalizzabile e quindi ha assunto un ruolo sempre più rappresentativo dell’Italia nel mondo.”