by Antonino Cangemi
Uno straordinario talento senza successo. Così si sarebbe potuto definire Anselmo Calaciura, giornalista palermitano colto, intelligente, di elegante ed efficace scrittura come pochi non ripagato dal successo che meritava.
Nel 1948 Calaciura ha soli 14 anni e pubblica il suo primo articolo sulla terza pagina del ‹Giornale di Sicilia››: è una recensione di ‹‹Conversazione in Sicilia›› di Elio Vittorini. Un modo atipico per fare l’ingresso nel mondo del giornalismo: dalla porta principale e coi pantaloni corti. Col tempo diventa di casa nel quotidiano siciliano ed è caposervizio delle pagine culturali.
Calaciura è un giornalista di razza, è nato e vive per la carta stampata. E’ un uomo di cultura con una particolare predilezione per il teatro ma rifugge lo snobismo di certa intellighenzia altezzosa. Lui ama sporcarsi le mani, imbattersi nella cronaca, raccontare i fatti – a partire da quelli più crudi – con l’acume dell’intellettuale e la modestia del cronista. Perciò, quando nel ’68 il terremoto devasta la valle del Belìce, insieme a tanti altri cronisti è tra le macerie dei paesi colpiti dal sisma e i suoi – come quelli di Roberto Ciuni e Giuseppe Quatriglio – sono pezzi memorabili.
‹‹Il silenzio di Santa Margherita – scrive in uno dei suoi articoli – è il più tragico, il più agghiacciante. Non ci sono lamenti né ansimare di ruspe, soltanto il fischio del vento e il rumore dei passi del sindaco e dei suoi pochi aiutanti, la loro voce adirata contro i soccorritori che non arrivano››.
Calaciura intuisce che la tragedia del terremoto, per i poveri contadini di quell’angolo remoto della Sicilia occidentale, è di vasta portata: nei ruderi delle fragili costruzioni di chi vi abitava si annuncia lo sfacelo identitario della civiltà rurale.
D’altra parte Calaciura è convinto che l’informazione della carta stampata può competere con quella televisiva – che si avvale di mezzi ben più potenti – solo se vivifica la cronaca col commento, se la scrittura, lungi dall’essere un grigio resoconto dei fatti, sa animare i fatti, renderli palpitanti, offrirne una chiave di lettura. Perciò tra giornalismo e letteratura – non quella evasiva, naturalmente – il nesso è stretto: l’uno e l’altra si alimentano a vicenda.
Come rivela l’incipit del pezzo scritto l’indomani della morte di Elsa Morante: ‹‹Il 1968 fu l’anno dell’avvento. Sulla scena europea irruppe il nuovo, e anche quello che si volle fosse tale. Sotto le luci più sfavillanti si piazzarono il rimosso e il proibito. E il potere, affidato alle cure della fantasia. Elsa Morante, morta ieri, in quell’anno di conversioni autentiche e di ben collaudate illuminazioni sulla via di Damasco, fece una cosa di stupefacente candore, affidò il mondo ai ragazzini, il lupo alle pecore perché lo salvassero…››.
Calaciura non dimentica la sua passione per il teatro: cura la critica teatrale sul ‹‹Giornale di Sicilia›› (è lui a scoprire Franco Scaldati), nel ‘70 è tra i fondatori del gruppo ‹‹Aziz›› insieme a Michele Perriera, Luhan Rexha, Gabriello Montemagno, Antonio Marsala, Salvo Licata, in una Palermo allora pioniera di avanguardie culturali.
E’ regista e autore teatrale e pubblica la pièce ‹‹Era di Maggio›› sui bombardamenti anglo-americani a Palermo nella seconda Guerra Mondiale di cui è vittima anche il poeta di strada Peppe Schiera.
Nel ’79 per Calaciura una ferita: muore sul campo ucciso dalla mafia un collega a cui è molto legato, Mario Francese, le cui scrupolose e coraggiose inchieste non sono gradite a Cosa nostra. Quell’omicidio gli lascia una cicatrice difficile da sanare: ‹‹Da allora la mia prosa divenne più cattiva››.
Tra l’86 e l’’87 si celebra nell’aula bunker dell’Ucciardone il maxiprocesso e Calaciura lo segue per il ‹‹Giornale di Sicilia››: le sue cronache rendono ancora più vivo ed emozionante quell’avvenimento di rilievo storico.
Poi Calaciura lascia il ‹‹Giornale di Sicilia›› per rianimare ‹‹L’Ora››, il quotidiano palermitano fondato dai Florio noto per la sue inchieste, all’apice con la direzione di Vittorio Nisticò. Lo dirige, succedendo a Tito Cortese, nel ’91-92: ma il tentativo non riesce, il declino della testata per vari motivi, tra i quali quello di carattere generale che investe un po’ tutta la stampa cartacea, è difficile da arrestare. Calaciura non s’arrende e si lancia in una nuova avventura: dà vita al progetto palermitano del quotidiano ‹‹Il cittadino››, di proprietà dei lettori. Un’utopia destinata a fare i conti con la realtà, alla quale è costretta a piegarsi. Eppure vale la pena recuperarne qualche numero zero per comprendere come, anche nel giornalismo, la storia della Sicilia sia piena di occasioni mancate.
Stanco e disilluso, Calaciura vive i suoi ultimi anni nel ‹‹buen retiro›› di Pezzingoli e si spegne, dopo un intervento chirurgico, il 17 luglio del 2009.
Tra le sue consolazioni, l’affermazione letteraria del figlio Giosuè: anche lui però troppo talentuoso. Un limite in Italia, non in Francia dove, tra i nostri scrittori viventi, è il più apprezzato.