Cento ore alla scissione del Partito Democratico. Il conto alla rovescia, avviato per San Valentino da Pierluigi Bersani, si concluderà al massimo domenica 19 febbraio. Nel back stage del Nazareno la posta in gioco comprende non solo la tenuta del Governo Gentiloni, ma soprattutto il potere del Segretario del Pd di formare le liste elettorali.
L’obiettivo del mediatore-azionista di maggioranza relativa dei democratici, Dario Franceschini, è da un lato quello di guadagnare tempo sull’inizio delle assise di partito e, dall’altro, di calibrare una legge elettorale in grado di offrire congrue garanzie di seggi elettorali alla minoranza. Secondo vari sondaggi infatti la minoranza presentandosi con un nuovo partito alle urne racimolerebbe non meno del 7 % di voti e dai 45 ai 60 fra deputati e senatori

I punti chiave sono i capilista e la data del congresso. Se soprattutto si riuscisse a far slittare il congresso a fine giugno, la scissione in progress se non proprio scongiurata verrebbe quanto meno disinnescata. A meno che non la faccia Matteo Renzi…. Già perché di mediazione in mediazione Franceschini ha assunto l’indiscusso ruolo di dominus del Pd e di garante della governabilità.
E l’attuale segretario, che già si è visto rimandare a scadenza naturale le elezioni politiche e posticipare l’inizio del congresso, rischia di trovarsi di fatto commissariato dall’asse unitario fra il Ministro dei Beni Culturali, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando e le minoranze.
Al Nazareno intanto le voci si rincorrono, tanto da rischiare di incorrere nella sublimazione descritta da Alberto Asor Rosa: “ il potere si assuefà alla propria voce. E quando l’assuefazione è completa, la scambia per la voce di Dio”