by Augusto Cavadi
Alcuni liceali, simpaticamente curiosi, mi hanno chiesto un parere sul ruolo della Chiesa cattolica nella lotta contro la mafia.
La risposta è semplice e complessa. Semplice perché, a mio avviso, le spettano i compiti che tutte le organizzazioni della società devono svolgere; complessa perché questi compiti sono poliedrici, articolati, tentacolari.
In una società pluralistica, a differenza del passato, la Chiesa cattolica non gode di nessuna forma di monopolio strategico: ciò che può, e deve, fare è sulla stessa linea di altre agenzie educative (come le comunità ebraiche, islamiche, induiste, buddhiste; la scuola e l’università; i centri di studio e i laboratori di ricerca; le reti radiotelevisive e i giornali sia cartacei che on line) e di altre forme associative (dai partiti politici ai sindacati, dai movimenti alle organizzazioni del Terzo settore). Direi di più: la chiesa cattolica dovrebbe lavorare non solo come le altre aggregazioni sociali ma – per quanto possibile concretamente di volta in volta – in cooperazione con esse.
La forza della mafia sta nella sua capacità di infiltrarsi, trasversalmente, nei gangli delle istituzioni e della società: solo un coordinamento altrettanto trasversale dei cittadini decisi a liberarsene potrebbe sperare di riuscirci. Qua la radice della tragedia: la criminalità è (quasi sempre) organizzata, la legalità democratica è (quasi sempre) disorganizzata.
Quali sono i livelli più rilevanti in cui si può srotolare un impegno incisivamente antimafioso?
Li richiamo brevemente esemplificando, per ciascuno di essi, alcune modalità specifiche in cui la chiesa cattolica potrebbe declinarli.
Innanzitutto il livello della conoscenza: la mafia prospera all’ombra dei luoghi comuni e dell’approssimazione analitica. Va smascherata nella sua ideologia di base, ma anche monitorata nelle sue continue trasformazioni. Sin dagli anni della formazione teologico-pastorale si dovrebbero moltiplicare dunque per preti e suore, catechisti e catechiste, le occasioni di studio, di riflessione e di aggiornamento.
Grazie all’arma dell’intelligenza si scoprirebbe che la mafia è un soggetto ‘politico’ e che non sarebbe mafia se non avesse, dall’origine, un rapporto intrinseco con lo Stato.
La Chiesa cattolica italiana dovrebbe, dunque, perseverare nella strategia (avviata dopo l’era dei cardinali Ruini e Bagnasco) di rompere qualsiasi forma di collateralismo con partiti, schieramenti elettorali, correnti, candidati o in odore di mafia o comunque tiepidi nei confronti del fenomeno: sempre, anche quando queste formazioni partitiche promettono appoggi legislativi o privilegi amministrativi. E, in positivo, insistere sulla raccomandazione del cattolico Paolo Borsellino: l’arma più potente contro la mafia è un voto consapevole e libero, libero perché consapevole.
Se la mafia tende alla conquista del potere (preferendo ‘farsi’ Stato anziché combatterlo dall’esterno appiattendosi nel ruolo riduttivo di anti-Stato), essa mira altresì all’accumulazione del denaro. Su questo terzo livello, economico, la chiesa cattolica con Papa Francesco ha svoltato pagina chiudendo il suo sistema finanziario ai flussi di denaro sporco.
Si tratta adesso, sulla scia di Vescovi come Bregantini e di preti come don Ciotti, di incrementare quelle iniziative cooperativistiche che possono moltiplicare le occasioni di lavoro pulito, soprattutto per le giovani generazioni.
La mafia, soggetto politico ed economico, è anche portatrice di una propria pedagogia: con le parole (i proverbi, le leggende, i consigli) e soprattutto con le azioni (per esempio le esecuzioni plateali dei ‘traditori’ o dei cittadini che non si piegano alle sue richieste) essa diffonde una propria “tavola di valori”: il conformismo, il tradizionalismo, l’obbedienza cieca ai comandi dei capi, il disprezzo dei sentimenti, la subordinazione delle donne, la riduzione dell’ambiente naturale a mera occasione speculativa e così via.
In questo quarto livello l’azione della Chiesa cattolica potrebbe essere decisivo, ma solo a costo che, già al suo interno, si incoraggiassero il senso critico, la libertà creativa, la condivisione democratica delle decisioni, la cura degli affetti e delle emozioni, la parità di genere, la solidarietà ecologica e così via. L’azione di papa Francesco va in questa direzione, ma non è un segreto che vi si oppongono frange consistenti di clero e di fedeli.
Combattere la mafia con le armi della conoscenza, della politica, dell’economia e della pedagogia presuppone distacco dai propri vantaggi individuali, dedizione al bene comune, coraggio nell’affrontare ogni genere di pericoli. In una parola: presuppone energia etica.
C’è chi l’attinge da sapienze filosofiche, chi da tradizioni politiche, chi da motivazioni religiose. Per quanto sta in essa, la chiesa cattolica dovrebbe approfondire – nelle celebrazioni eucaristiche, nei corsi di preparazione alla prima comunione, alla cresima, al matrimonio – questa valenza etica del messaggio evangelico: che è un messaggio inscindibilmente divino ed umano, interiore e politico, personale e sociale. Da Gesù in poi, sino a don Pino Puglisi e al giudice Rosario Livatino, molti credenti hanno testimoniato (‘testimone’ in greco si dice ‘martyros’) che l’unico modo per amare Dio – che, se esiste, non ha certo bisogno di nostri omaggi da sudditi – è realizzare la liberazione dei viventi da ogni genere di male.