Come avviene per le svolte epocali, il muro di Berlino è ormai un concetto globale. Da epicentro della cortina di ferro a spartiacque della storia. Da muro d’odio a breccia fatale del comunismo. Ci sono quasi 60 anni, fra guerra fredda e post comunismo, che rimbalzano lungo quegli oltre 140 chilometri di cemento armato che grondano ancora sangue e segnano tuttora l’esistenza di migliaia di tedeschi.
Eppure, paradossalmente, col senno di poi si potrebbe dire che quel 9 novembre del 1989 il crollo del muro di Berlino era destinato a provocare più conseguenze fra i paesi occidentali che nel blocco sovietico, che già da anni aveva cominciato a sgretolarsi per l’azione di Papa Giovanni Paolo II°, il polacco Karol Wojtyła, e sotto i colpi della glasnost’ e della perestroika, la trasparenza e la ristrutturazione, di Michail Gorbačëv.
Gorbačëv e Papa Giovanni Paolo II°
Il primo Pontefice di un paese comunista e l’ultimo Segretario generale del Pcus leninista marxista, eletto a Mosca dopo 65 anni di terrore stalinista, gulag, polizia segreta, sanguinose repressioni delle rivolte in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia.
Liberato dall’incubo dello scontro permanente fra i due blocchi, l’Occidente si ritrovò infatti ben presto alle prese con l’emersione di tutte le emergenze rimaste irrisolte, sacrificate dall’interesse preminente di contrastare il comunismo: il sottosviluppo dell’Africa e dell’America Latina, il terrorismo islamico, il tumultuoso sviluppo economico e la moltiplicazione degli abitanti della Cina e dell’India, la proliferazione nucleare, l’inizio delle crisi dell’Europa e del Commonwealth, la rinascita di una Germania über alles, questa volta soltanto economicamente…
Per il regime comunista russo, che stringeva in una morsa i paesi dell’Europa orientale ed aveva ramificazioni a Cuba, il centro America ed in Africa, anche se in maniera dirompente e acceleratrice, l’abbattimento del muro di Berlino rappresentò la punta di un icerberg già alla deriva e in via di liquefazione, a causa dell’impatto del riformismo di Gorbačëv.
Impatto che ebbe l’effetto di rimuovere 73 anni di storia dell’ Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, fondata da Lenin e governata da Stalin, Nikita Chruščёv, Leonid Brežnev, Jurij Andropov, Konstantin Černenko e dallo stesso Gorbačëv.
Senza quest’ultimo, molto probabilmente, l’agonia politica prima ancora che economica della Germania dell’Est e poi in rapida successione della Romania, della Polonia e della Bulgaria, sarebbe stata prolungata dall’inerzia e dal timore dei paesi occidentali di provocare la reazione dell’Unione Sovietica modello Brežnev, come in Cecoslovacchia nell’agosto del 1968.
Ventotto anni di muro e trenta di dopo muro presentano diversi conti. Spesso in antitesi:
- spostamento del baricentro della storia e dell’economia dall’Europa all’Asia;
- da simbolo della guerra fredda e della cortina di ferro a sinonimo di crollo di regimi e dittature;
- fine del comunismo e inizio della crisi dell’Occidente;
- riposizionamento dell’egemonia americana e sorgere della potenza cinese.
Un muro di Berlino che in lunghezza sembra superare metaforicamente l’altezza della torre di Babele del regime comunista cinese, smascherato dalla rivolta degli studenti di Hong Kong che da mesi inconsciamente stanno tentando di sgretolare la Grande Muraglia del partito stato di Pechino, che ha trasformato la cyber intelligence in un network di dominio e di controllo globale.