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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Augusto Cavadi
La domanda-chiave di questo agile testo di Arnaldo Nesti (L’incerto domani. Spiragli spirituali, Aracne, Roma 2020, pp. 114, euro 10) – “Quale sarà l’esito della progressiva crisi delle religioni convenzionali?” – interpella, secondo l’autore, tutte le chiese cristiane senza significative eccezioni.
Infatti qua e là si troverà qualche ingenuo che negherà l’ “eclissi di Dio” (di cui parla Buber) o la “exculturazione del cristianesimo” (di cui parla Hervie-Léger): ma le statistiche sulla frequenza domenicale alle celebrazioni cultuali, nella loro spietata oggettività, dimostrano che “la crisi delle religione in Occidente” è ormai “evidente e inoccultabile”.
Se la fotografia, in quanto veridica, non è opinabile, diverse sono le interpretazioni che di questo dato vengono offerte: è la società che, in preda a consumismo e bulimia di piaceri, rigetta la visione tradizionale della religione oppure, invece, Le desenchantement du monde (Marcel Gauchet) è l’effetto inevitabile del Pervertimento del cristianesimo denunziato da Ivan Illich, a giudizio del quale l’iniziale rivoluzione operata da Gesù è stata addomesticata al punto che “non solo abbiamo perduto il senso del bene, di ciò che si confà, ma anche qualsiasi modo di riconoscere questa perdita stessa”?
Nella prima ipotesi avrebbero ragione i nostalgici esponenti di un “sanfedismo pavloviano” che si riconoscono nel ministro della Repubblica che il 18 maggio del 2019, in piazza Duomo a Milano, chiude una campagna elettorale surreale con la dichiarazione: “Io personalmente affido l’Italia, la mia e la vostra vita, al cuore immacolato di Maria che sono sicuro ci porterà alla vittoria”.
Nella seconda ipotesi interpretativa, la crisi della religione potrebbe rivelarsi un crepuscolo nel doppio, inseparabile, senso di tramonto (di un mondo invecchiato) e di alba (di un mondo di cui a stento si intravedono i contorni).
Arnaldo Nesti propende per questo orientamento e riprende il volume a più voci, curato da Claudia Fanti e Ferdinando Sudati, Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana (edito dalla Gabrielli). In particolare si richiama al contributo del vescovo episcopaliano John Shelby Spong (di cui, recentemente, le edizioni Il pozzo di Giacobbe hanno tradotto uno dei suoi testi fondamentali: Perché il cristianesimo deve cambiare o morire. La nuova riforma della fede e della prassi della Chiesa), fautore di una nuova Riforma, a mezzo millennio da Lutero, talmente radicale da far “sembrare piccola quella del XVI secolo, simile a un gioco da bambini”. In questa prospettiva, impallidiscono non solo controversie da pollaio come l’utilizzazione in piazza di rosari e crocifissi, ma perfino le dispute più serie sulla Sola Scriptura, sulla Sola Fides, sul Solus Christus, sul significato di “salvezza”.
Le tematiche rilevanti nel nuovo paradigma teologico “post-religionale” sono infatti l’idea del Dio trascendente e onnipotente, la sua paternità (declinata al maschile), il processo biblico di desacralizzazione della Terra e le istanze dell’eco-centrismo…”Sono cosciente” – osserva Nesti, sociologo della religione di lungo corso – “che tali posizioni possano risultare strane e persino incomprensibili, a chi parta dal presupposto che ‘in realtà non è successo nulla’ e che le grandi questioni restano sul tappeto perché sono eterne, e che possiamo andare avanti con lo stesso tipo di risposte a partire dai presupposti di sempre”.
Tuttavia egli sposa la tesi di José Marìa Vigil uno di questi teologi “post-religionali” e “post-teisti”: “Siamo in un tempo di cambiamento radicale, di nuove forme di teologia che non sono mai state neppure sognate. Il futuro è di chi rischia puntando su questo compito di rifondazione teologica”.
D’altronde, come non accorgersi di un presente desolante nel quale – scrive con efficacia lo studioso toscano – “molti ‘se-dicenti’ cristiani, oggi, celebrano e vivono immersi nel razzismo, nell’odio verso i migranti, i diversi” e in cui le nostre cattedrali appaiono “immense navi spiaggiate alle quali è venuto meno il mare in cui navigare”?
Rispetto a questi obiettivi, ambiziosi ma irrinunciabili, tutte le chiese sembrano abbastanza lontane. La chiesa cattolica, con il Vaticano II, “ha portato una riconciliazione con la modernità, ma solo fino a un certo punto. Il Concilio ha riconosciuto l’autonomia delle realtà terrene, ma ha continuato a parlare della realtà concepita nello schema dei ‘due piani’, con i dualismi cielo/terra, corpo/anima, natura/grazia, naturale/soprannaturale, storia umana/storia della salvezza”.
Ma anche le chiese riformate hanno un lungo cammino davanti, sia rispetto alla perpendicolarità della Parola di Dio (secondo il grandioso magistero di Barth) sia – ancor più – rispetto al letteralismo tendenzialmente fondamentalista di molte chiese evangelicali.
Come aveva asserito già nel 1992 Ernesto Balducci, “per questo cristianesimo non c’è futuro” e, più in generale, tutte le religioni potranno salvarsi – nel senso di essere solo ‘superate’ e non anche ‘distrutte’ – solo se accetteranno “una conversione antropologica”.
Se qualcuno restasse scoraggiato dalla pars destruens di queste nuove tendenze teologiche potrebbe, con profitto, indagarne le proposte costruttive: o iniziando dalla piccola introduzione del gesuita belga Roger Lenaers (di cui Il pozzo di Giacobbe ha edito Cristiani nel XXI secolo? Una ri-lettura radicale del Credo) o navigando direttamente negli altri volumi, della collana “Oltre le religioni” delle edizioni Gabrielli, sinora pubblicati: Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l’umanità e Una spiritualità oltre il mito. Dal frutto proibito alla rivoluzione della conoscenza (entrambi a cura di Claudia Fanti e José Marìa Vigil).
Anche Nesti vuole apportare il proprio contributo propositivo, presentando come “Testimoni dell’età spirituale (post-religionale)” sia Etty Hillesum che Dietrich Bonhoeffer. Egli però ci tiene ad avvertire: “Bisogna stare attenti a non considerare la spiritualità come un benessere interiore, la cura di sé per trovare l’armonia con il mondo. Non è la palestra dove andare a fare ginnastica dell’anima”. Essa, inoltre, esige d’essere praticata in spirito di autentica “laicità”. Lo stesso Dalai Lama, citato in Appendice, lo ribadisce: “Ciò di cui abbiamo attualmente bisogno è un approccio all’etica che non faccia riferimento alla religione e possa essere accettato sia da chi segue la fede sia da chi non ne ha alcuna: in breve, ci serve un’etica laica”.
Una breve nota in margine. Papa Francesco “intende andare oltre il cattolicesimo e oltre la Chiesa: vuole gettare le basi, si potrebbe dire anche se non è un’espressione corretta, per una nuova religione universale, così come piaceva al cardinale Martini”?
Nesti ne è convinto, in paradossale coincidenza di giudizio con la Destra cattolica più arrabbiata contro l’attuale “vescovo di Roma”.
Ma a me sembrerebbe che ciò che egli asserisce con approvazione, e che i settori reazionari affermano scandalizzati, sia eccessivo: Papa Bergoglio è teologicamente interno al paradigma religionale e teistico tradizionale e molte sue iniziative in tempo di pandemia lo confermano (cfr. il breve volumetto a più mani, coordinato da Paolo Scquizzato ed edito da Gabrielli, La goccia che fa traboccare il vaso. La preghiera nella grande prova).
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Giornalista pubblicista, Filosofo. Fondatore della Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo