Violenza tribale d’esportazione
C’è ormai un corto circuito continuo fra civiltà e la ferocia tribale di molti paesi dell’Asia e dell’Africa. Un corto circuito che spesso i media circoscrivono soltanto alle tragedie di ragazze emigrate come Sana Cheema, la 25enne pakistana uccisa dal padre e dal fratello perché voleva sposare un italiano.
Tragedie purtroppo quotidiane, ma in gran parte sommerse, perché quando si consumano nei paesi d’origine spesso non superano la barriera del silenzio, dell’omertà ambientale altrettanto tribale.
Il massacro di Sana, studentessa a Brescia, assassinata in Pakistan dal clan familiare nel distretto di Gujrat, è venuto alla ribalta perché denunciato in Italia e sui social dal fidanzato e dagli amici.
Ma è una tragedia seriale che ricalca quella di un’altra ragazza pakistana, Hina Saleem, sgozzata dal padre con la complicità di due generi e sepolta nel giardino di casa, proprio nei dintorni di Brescia, nell’agosto del 2006. La scomparsa di Hina venne denunciata dalle amiche e non dai connazionali.
Amiche e compagne di scuola che, sempre nel bresciano dove vive una numerosa comunità pakistana, nel 2011 hanno dato l’allarme per la prolungata assenza della 19enne Jamila, che – si scoprì – veniva tenuta segregata a casa perché si stava occidentalizzando troppo…
Tragedie ricorrenti che si sommano allo stillicidio dei femminicidi che si susseguono non in contesti tribali, bensì in una società iper consumistica e apparentemente culturalmente evoluta.
Ma mentre, nella sconvolgente classifica degli orrori, i femminicidi scuotono e provocano reale indignazione e sgomento, avviano una elaborazione sociale lenta ancora insufficiente ma continua, il corto circuito tribale lontano o della porta accanto suscita reazioni soltanto nell’opinione pubblica occidentale e non fra le comunità e i paesi d’origine delle vittime.
Il che la dice lunga e deve far riflettere sulla evidente incapacità culturale etnica e religiosa di integrazione, che persiste in determinate comunità. Una riflessione assolutamente non razzista sulla incapacità singola e collettiva di integrarsi, ma che deve necessariamente far alzare il livello di guardia e di prevenzione.
Soprattutto per scongiurare il disumano perpetuarsi della violenza tribale d’esportazione nei confronti delle donne .
Vittime predestinate nei paesi d’origine di una furia ancestrale che perpetua mutilazioni genitali, spose bambine e rogo delle vedove, per citare soltanto alcuni casi.
Un quotidiano eccidio tribale di donne e bambine che si consuma nell’indifferenza Internazionale.