De André forever
Fabrizio De André era Genova e chitarra, sigarette e whisky, la guerra di Piero e quella del Vietnam, il cellophan strappato in fretta dagli LP appena usciti e “Amore che vieni, amore che vai” nelle note durante le occupazioni delle Aule all’Università.
Era l’anarchia per bene di chi è abituato ad esporre tante idee senza urlare ed era Via del Campo e la prostituzione innocente, ancora senza spietatezza, era la timidezza mai vinta nel disagio sottile di quella metà del viso sempre coperta dai capelli.
Era ed è tornato ad essere il Principe Libero nel film pieno di atmosfera e di luci senza filtri in cui Luca Marinelli non recita , ma, per almeno tre ore, è Fabrizio De Andrè, il suo Fabrizio amico fragile, nato a Roma, ma così poco romano e così pudicamente genovese.
E’ Fabrizio De Andrè nonostante gli occhi azzurri affogati nel sorriso triste, nei gesti delle dita, nei respiri accennati e nella voce che allunga “quella” nota.
Il principe libero è Fabrizio ed è Luca, nelle notti del sequestro in Sardegna ed in quelle dei locali pieni di alcol e di fumo dove si suona e si recita negli irripetibili e non dimenticati anni ’60 insieme a Luigi Tenco e a Paolo Villaggio (l’attore è un miracolo di somiglianza), nell’amore giovane – poi perduto – per Puny ed in quello adulto e forte per Dori.
Da domani sera è in televisione: per quelli che l’hanno visto a cinema a gennaio , è un bis atteso, per chi non ha ancora quarant’anni, un’occasione da non mancare per provare a capire che i poeti scrivevano messaggi eterni anche senza internet, per respirare “come eravamo” senza nostalgia, ma con una voglia di autenticità, di timidezza, di anarchia, di educazione, di amore e di profondo rispetto che… sembrano scivolate via, chissà come, nel fiume insieme a Marinella.