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Giappone: la strage della solitudine senza speranze

by Maggie S.Lorelli

In Giappone è boom di suicidi. Nel solo mese di ottobre 2020, il numero delle vittime ha superato quello dei decessi per Covid dall’inizio della pandemia.

Secondo i dati della John Hopkins University sono 2.153 i giapponesi che si sono tolti la vita a fronte dei 2.050 morti per coronavirus.Giappone la strage della solitudine senza speranze

Gli psicologi lanciano l’allarme e denunciano che la disoccupazione di massa, l’isolamento sociale e l’ansia generati dalla pandemia stanno mettendo a dura prova la salute mentale delle persone a livello globale.

Il dato sui suicidi in Giappone tuttavia stupisce, in quanto l’impatto del virus è minore rispetto ad altri Paesi, e non è stato imposto un lockdown totale.

Eppure le cause presunte dell’escalation dei suicidi hanno a che fare con le conseguenze economiche dovute alla pandemia.

Ne parliamo col  neurologo giapponese Hajime Kusayanagi e con la moglie Valeria Andreozzi, pedagogista. Il dott. Kusayanagi ha pubblicato diversi articoli scientifici nel campo delle neuroscienze e dopo aver collaborato con l’Università “Tor Vergata” di Roma attualmente lavora presso il centro Covid di una struttura sanitaria.

“In Giappone l’impegno verso la realizzazione economica ha un valore diverso rispetto a come viene considerato in Occidente – spiegano gli studiosi – E’ il risvolto concreto della più ambita realizzazione professionale, finalizzata a raggiungere un determinato status sociale. Questo obiettivo è condiviso dalla maggior parte delle persone e considerato fondamentale nel percorso di crescita di un giapponese. Lo stesso sistema educativo si basa sulla formazione adatta a superare i test per accedere alle più prestigiose Università che garantiscono la formazione dei futuri dirigenti aziendali. Le famiglie infatti investono fin dalle scuole elementari affinché i propri figli possano avere un’istruzione adeguata al raggiungimento di una brillante carriera professionale.Giappone la strage della solitudine senza speranze

Individua delle differenze fra la cultura occidentale e quella orientale, in particolare giapponese, nella resilienza a un fenomeno come la pandemia che investe la totalità della persona, sia negli aspetti pratici che in quelli psicologici?

Nella cultura giapponese esiste un alto senso civico e l’educazione prevede, oltre alla cura dei luoghi comuni come le scuole, le strade, gli ambienti di lavoro, anche il rispetto della salute e dell’altro attraverso azioni concrete. La capacità pratica dei giapponesi di saper gestire e risolvere le situazioni di emergenza in tempi brevi, con efficienza e determinazione, dipende dal costante esercizio pratico, a cui vengono abituati i cittadini fin da piccoli. Riescono così a fronteggiare al meglio situazioni di emergenza come terremoti o incendi, seguendo con precisione le azioni da fare senza lasciare spazio al panico o alla paura. Inoltre la gestione delle proprie emozioni riguarda una sfera privata e personale, non necessariamente familiare, a cui tutti vengono istruiti.

Non credo quindi sia un problema convincere i giapponesi a indossare la mascherina…

È abitudine dei giapponesi indossare la mascherina ogniqualvolta le condizioni di salute personale potrebbero danneggiare gli altri.Giappone la strage della solitudine senza speranze

Dott. Kusayanagi, da neurologo ritiene la pandemia possa avere effetti così profondi nella psiche delle persone tanto da indurre pensieri suicidari?

La cultura giapponese in apparenza riesce a far convivere il bon ton e la cerimonialità con la necessità umana di socialità e di scambi di vita e di esperienze. Di giorno educati e formali, mentre dopo il lavoro il cosiddetto “salary man”, l’impiegato d’azienda, si reca con i colleghi di lavoro a bere qualcosa per rinsaldare i legami, anche amicali, e al tempo stesso far cadere la barriera della formalità. La psiche, o meglio, la mentalità occidentale è ben diversa da quella orientale. In tal senso la religione e la filosofia orientale danno maggior importanza al collettivo, alla famiglia, e in misura minore all’individuo, che spesso vede smarrita la propria identità. Tale spirale di senso del dovere incatena talune persone a un pensiero che inevitabilmente porta a disperazione, mancanza di speranza, difficoltà nel chiedere aiuto anche ai propri familiari.

Il Giappone ha uno dei tassi di suicidio più alti al mondo. Sebbene le cause del fenomeno siano complesse, pensa che lo stigma culturale intorno ai problemi di salute mentale possa avere a che fare con questo fenomeno?

Forse parlerei più di un problema di salute sociale, che di salute mentale. I giapponesi devono rispondere a delle aspettative sociali alte che condizionano ogni scelta scolastica, professionale e anche personale e matrimoniale. I ritmi di lavoro sono molto elevati. Per usare una metafora, pensiamo ai cigni adagiati sull’acqua, che sembrano non faticare mentre si spostano, ma sotto l’acqua le zampette si muovono vorticosamente. In particolare per gli uomini è difficile accettare e ammettere di essere sotto stress e in condizione di burnout. Non è raro che le persone decidano di non avere relazioni sentimentali, oppure di non desiderare di avere dei figli per incertezza economica, ma anche semplicemente perché si desidera godersi la vita, qui e ora. Altra tematica cruciale è l’invecchiamento generale della popolazione, con molte persone che vivono la condizione di solitudine.Giappone la strage della solitudine senza speranze

Nel corso della pandemia c’è stato un incremento dei suicidi tra le donne, che sono aumentati dell’83% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Inoltre il 27% delle donne ha riportato un aumento dei problemi di salute mentale rispetto al 10% degli uomini. In parte il fenomeno è stato spiegato col fatto che le donne rappresentano una percentuale maggiore dei lavoratori part-time. Come vede la questione della parità di genere nel suo Paese? 

Il Giappone è un paese con un’impostazione fortemente maschilista. Già la lingua crea una chiara separazione tra uomini e donne, le quali non possono usare lo stesso tipo di espressioni degli uomini altrimenti vengono giudicate come appartenenti a un rango sociale basso. La parità di genere in Giappone è un processo lento, una battaglia che viene portata avanti senza clamore né rivoluzioni in strada come accade in Occidente; uno sforzo sotterraneo che le donne stanno realizzando per trasformare una società che è così strutturata da millenni. Il problema non credo sia il part-time, quanto piuttosto la difficoltà per le donne di avere lo spazio giusto nella società tutta, arrivare dove meriterebbero di arrivare, in base alle proprie capacità, e non vivere e crescere solo per saper organizzare la propria vita e la famiglia, per sostenere la realizzazione dei “maschi” di casa. Le donne hanno maggiore resilienza, ma anche per loro la rete di supporto familiare e lavorativa non è sempre ottimale.

Giappone la strage della solitudine senza speranze
Hajime Kusayanagi

Il distanziamento sociale ha colpito anche i giovani, costretti dai tempi ad essere confinati in casa e a relazionarsi agli altri attraverso la tecnologia. Il Giappone è il Paese in cui è nato il fenomeno hikikomori, e in cui la tecnologia è molto avanzata. Pensa che i giovani, più abituati al “suicidio sociale” resisteranno meglio alla pandemia?

Credo sia una domanda complessa. Una parte dei giovani utilizza la tecnologia intesa come social media, web come una forma di difesa naturale, di voyeurismo, di distanziamento individuale e sociale. Bisogna avere fiducia e speranza nei giovani di qualsiasi nazione.

In Giappone la morte volontaria non è moralmente condannata anche perché ammantata da una sedicente aura rituale o mistica (pensiamo ai seppuku o ai kamikaze). Pensa che questa considerazione possa in parte spiegare l’alto tasso di suicidi?

Credo proprio di si, ma d’altra parte la spinta alla vita deve essere più forte!Giappone la strage della solitudine senza speranze

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Maggie S. Lorelli
Maggie S. Lorelli
Maggie S. Lorelli, dopo la laurea in Lettere all'Università degli Studi di Torino, si laurea in Pianoforte al Conservatorio “G. Verdi” di Torino e in Didattica della Musica al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma. Dopo un' esperienza decennale alla Feltrinelli ha collaborato come autrice con Radio 3 Rai e Radio Vaticana e condotto programmi musicali. Ha svolto un tirocinio come giornalista presso l'agenzia di stampa Adnkronos,  scrive per varie riviste musicali specializzate, ha al suo attivo numerosi racconti e “Automi”, il suo romanzo d'esordio. Attualmente è docente di Pianoforte al Liceo musicale.
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