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Il destino della Chiesa visto dalla rocca di Cefalù

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Rubrica di critica recensioni anticipazioni

I cardini del pensiero Socrate Buddha Confucio Gesù

by Augusto Cavadi

Rocca di luce (Asterios Editore, Trieste 2022) – romanzo d’esordio di Franco Venturella, amico e coetaneo (a riprova che, davvero, non è mai troppo tardi…) – ha due protagonisti principali: Manuel (di cui si segue la vicenda biografica dall’adolescenza sino alla piena maturità) e la città di Cefalù.

Poiché entrambi i protagonisti sono siciliani, la narrazione non poteva andare esente dal confronto-scontro con il sistema di dominio mafioso.Il destino della Chiesa visto dalla rocca di Cefalù

L’angolazione da cui tale dominio viene osservato è il caso della famiglia di un “testimone di giustizia”. Di un cittadino – cioè – che, a differenza dai “collaboratori di giustizia”, non ha mai militato dentro una cosca mafiosa, ma si è trovato nell’occasione di deporre in tribunale e non si è sottratto al suo dovere civico.

Va dato merito all’autore di aver evocato una vicenda che ne richiama tante altre, tanto più significative e apprezzabili quanto più silenziosamente lacerano la quotidianità e sconvolgono i progetti ordinari. Devo confessare che lo sviluppo della narrazione, con esito ancor più tragico della vicenda, mi ha lasciato perplesso per due motivi (per altro strettamente implicantisi). Dal punto di vista dell’efficacia letteraria, infatti, la denunzia del sistema mafioso mi sarebbe risultata più incisiva se non ci fosse stato un epilogo sanguinario: trovo urgente che si rappresenti nelle opere artistiche l’infernale ‘normalità’ della mafia senza necessariamente riferirsi a omicidi e stragi. Inoltre, dal punto di vista politico-pedagogico, non mi ha entusiasmato l’idea che un “testimone di giustizia” – a differenza di ciò che, per fortuna, è sinora capitato nella storia reale da quando è in vigore la normativa sulla protezione statale– paghi la sua decisione encomiabile a prezzi non solo ingenti, ma addirittura tragici.

Il destino della Chiesa visto dalla rocca di Cefalù
Franco Venturella

I due protagonisti – affermavo sopra – sono Manuel e la città di Cefalù, i cui destini s’incrociano nel Duomo normanno. L’autore proietta la trama in un futuro non molto lontano dove, con lucido realismo, immagina la Chiesa cattolica in crisi devastante: dei cattolici praticanti e dei loro riti liturgici “era rimasto solo il ricordo nei manuali di tradizioni popolari come fatto folcloristico. A poco a poco, la gente si abituava a vivere etsi Deus non daretur. Proprio così: come se Dio non ci fosse. Diminuiti i battesimi, pochi sacramenti, alcuni matrimoni, la maggior parte solo con rito civile, perché le coppie sceglievano la convivenza, anche in considerazione dell’aumento esponenziale dei divorzi e delle separazioni. Tanto valeva convivere e non complicarsi la vita. E poi, l’amore non ha bisogno di carte bollate. Anche la natalità era in caduta libera, a livelli tali che la popolazione anziana aveva superato quella giovanile” (p. 18).

In effetti, almeno in Occidente, siamo già in piena epoca “post-religionale”. La fotografia della situazione è tutt’altro che emotivamente distaccata: l’autore ne soffre al punto da immaginare, al termine del romanzo, una sorta di resurrezione imprevedibile. Ma è una prognosi attendibile? Se la diagnosi fosse adeguata, sì. Ma, a mio avviso, non lo è. Per Franco, infatti, la crisi della Chiesa sarebbe una questione di inadeguatezza soggettiva dei papi, dei vescovi, dei preti, dei fedeli in servizio permanente ed effettivo: sia di inadeguatezza etica (incoerenza rispetto al messaggio predicato) sia di inadeguatezza comunicativa (mancato aggiornamento del registro linguistico). Ma con un personale ecclesiastico che parlasse meglio e si comportasse meglio – diciamo con cristiani alla Manuel – davvero si uscirebbe dal pantano?  Il mio attuale parere è che ormai un abisso separa la semplicità essenziale dell’annunzio evangelico da tutta quella montagna di dogmi e di precetti sotto cui le chiese cristiane (cattolica in primis) hanno seppellito quella piccola sorgente di acqua fresca!

Duomo di Cefalù

La crisi non è essenzialmente ‘pastorale’, ma teologico-culturale. Faccio un solo esempio dal romanzo stesso: Cefalù brucia e si ricorre all’intervento del Cristo Salvatore per evitare che l’incendio, già grave, provochi danni ancora più gravi. Lo abbiamo visto di recente con l’epidemia del covid: dall’immagine tragica e commovente del Papa con la croce in una piazza San Pietro deserta battuta dalla pioggia agli elicotteri affittati per far girare nei cieli statue della Madonna in funzione terapeutica…

Ma veramente pensiamo che Dio possa e voglia intervenire, come un puparo buono, per rimediare ai guai che compiamo amministrando disastrosamente la natura, le industrie, gli scambi commerciali? Ma veramente possiamo credere in un Dio “tappabuchi” da cui già Bonhoeffer prendeva le distanze davanti all’orrore nazista?

Più convincenti mi risuonano le bordate contro la strumentalizzazione dei simboli religiosi tradizionali da parte di varie forze politiche. Non solo di Destra (“Pensate al crocifisso, divenuto ornamento di moda o portafortuna, o considerato alla stregua di suppellettile dell’arredo negli uffici pubblici, perdendo quel senso forte e provocatorio dell’amore gratuitamente donato per i fratelli. Persino il rosario viene esibito dai politici per usi impropri”, p.115), ma anche di Sinistra (“C’è una città che vedi, che mostra tutta la sua superba magnificenza, dove le vetrine ostentano una ricchezza eccessiva e invereconda, e la città che non vedi, anzi che fa comodo non vedere, persino da parte di quelle forze politiche che dicono, a parole, di stare con i poveri”, p. 138).

Il destino della Chiesa visto dalla rocca di Cefalù
Cardinale Pietro Parolin Segretario di Stato Vaticano

Da questi brevi cenni si evince, dunque, la condivisibilità della lettera- prefazione indirizzata all’autore dall’attuale Segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Pietro Parolin: “Non posso giudicare quanto sia convincente la trama, quanto le figure che provi a mettere sulla scena della storia – una storia veramente contemporanea, giocata sul tentativo di immaginare un futuro prossimo alla luce del presente che stanno vivendo la Chiesa e la società – riusciranno a “prendere” i lettori. Non so nemmeno quanto risulterà convincente il tentativo di sviluppare in un romanzo temi che entrano più facilmente in un saggio teologico. Al di là di tali questioni, che spettano più a un critico letterario, restano però gli interrogativi che provi a far emergere dalle pagine del libro. Interrogativi che riguardano la vita e la sua comprensione in un mondo segnato da incertezze e contraddizioni, da una crisi profonda che interpella tutti, in primis la Chiesa. Il tuo – scrive il Cardinale Parolin – non è un libro sull’uomo alla ricerca di sé stesso, che può trovare aiuto nella Chiesa. È un libro sulla Chiesa e sulla sua credibilità in un tempo di profondo disorientamento” (pp. 9 – 10). Parolin: la Chiesa è pacifista perché crede e lavora per la pace

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Gianfranco D'Anna
Gianfranco D'Anna
Fondatore e Direttore di zerozeronews.it Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Tg1 e Rai Palermo al maxiprocesso a cosa nostra. Ha fatto parte delle redazioni di “Viaggio attorno all’uomo” di Sergio Zavoli ed “Il Fatto” di Enzo Biagi. Vincitore nel 2007 del Premio Saint Vincent di giornalismo per il programma “Pianeta Dimenticato” di Radio1.
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