Il tragico destino delle donne e degli orfani dell’Isis
Sconfitti e braccati su tutti i fronti i terroristi dell’Isis gettano nella mischia, sulla linea di fuoco anche le donne e gli adolescenti.
Fino a qualche tempo fa Daesh, il sedicente stato islamico, concedeva alle donne del Califfato solo l’opportunità di partecipare ad operazioni suicide.
Ora invece mogli e figli vengono ammassati in trincea come combattenti di prima linea. Carne da cannone, per sopperire alla falcidia dei militanti e non esporre i fondamentalisti sbaragliati dall’ esercito iracheno, dalle milizie curde e dalle truppe corazzate turche e siriane, costretti a nascondersi fra le macerie delle ex roccaforti e sottoposti al tiro incrociato dei caccia e dei droni della Nato e della Russia.
Ancora più tragico è il destino delle vedove e degli orfani dei Foreign Fighter.
Oltre 1400 affollano un campo per prigionieri di guerra a sud di Mosul, ultima grande roccaforte del Califfato nel Nord dell’Iraq, liberata lo scorso luglio.
Senza documenti che provino la loro identità, molte di queste donne provengono da Paesi dell’ex Unione Sovietica come il Tagikistan, Azarbeijan e Cecenia, ma ci sono anche asiatiche, molte turche e un esiguo numero di francesi e tedesche. Dalle lingue e dai dialetti si è comunque potuto accertare che appartengono ad almeno 13 nazionalità.
Soltanto le organizzazioni umanitarie internazionali cristiane e delle Nazioni Unite potrebbero strapparle all’agonia che si prospetta loro nel campo di Mosul.
Un destino segnato, tanto che l’Isis venga definitivamente spazzata via, quanto nel caso remoto di una controffensiva dei tagliagole del califfato.