“Se ne è andato l’ultimo monumento culturale contemporaneo di Napoli” commentano al Caffè Gambrinus. Oltre che in tutta Italia, nella capitale partenopea la scomparsa di Raffaele La Capria alla vigilia dei 100 anni suscita una infinita, accorata, scia di apprezzamenti per il grande spessore umano e culturale del poliedrico scrittore e artista a tutto tondo.
Unanimemente considerato una delle intelligenze più vive della cultura italiana, Dudù, come era affettuosamente chiamato da tutti La Capria, è stato degli ultimi grandi cantori di Napoli come metafora della vita, assieme a Totò, Eduardo, De Crescenzo, Troisi e Pino Daniele.
Dopo gli esordi con il romanzo “Un giorno d’impazienza” (Bompiani, 1952), per La Capria infatti la notorietà era arrivata con “Ferito a morte” (Bompiani, 1961), ritratto di Napoli e di una variegata generazione col quale conquistò il Premio Strega battendo tra gli altri Giovanni Arpino, Fausta Cialente e Natalia Ginzburg. Il primo di una lunga serie di riconoscimenti letterari e artistici per la sua vulcanica e enciclopedica produzione di autore, narratore, sceneggiatore, saggista e giornalista.
Sposato con l’attrice Ilaria Occhini, scomparsa nel 2019, per Raffaele La Capria il ruolo della letteratura, come sottolineò in una recente intervista testamento, era essenzialmente quello della leva che smuove e ricerca le verità sotterranee, ed insieme quello della rappresentazione del proprio impegno per ricordare ed essere ricordati, della riflessione sul rapporto con l’esistenza, col passato e con la latente incombenza della morte.
Una continua ricerca esistenziale, esplorativa e descrittiva quella di La Capria, affidata ora alla rilettura della sua vastissima e colta bibliografia.