Le zeta di Zingaretti e Ratzinger non sono affatto quelle di Zorro, ma le convulse dimissioni di entrambi evidenziano singolari similitudini e analoghe considerazioni.
La prima e più evidente considerazione é che le dimissioni o sono piene o non sono vere dimissioni. Ovvero: se Benedetto XVI voleva davvero dimettersi da Pontefice non avrebbe dovuto inventarsi l’inedito e dirompente precedente del Papa emerito, doppione in bianco del legittimo successore. Si sarebbe dovuto dimettere in toto e spogliarsi umilmente dello status e dei titoli papali.
Se il segretario del Pd avesse davvero voluto dimettersi, avrebbe dovuto rimarcare l’irrevocabilità della decisione e rinunciare anche alla contemporanea carica di Presidente della Regione Lazio, che gli consente di rimanere in ogni caso sulla scena politica.
Le mezze dimissioni legittimano insomma i dubbi che possano trattarsi di scelte gattopardesche.
Parafrasando Macchiavelli si potrebbe inoltre argomentare che le dimissioni interrupte ruinano i successori.
L’altra singolare similitudine che accomuna Ratzinger e Zingaretti è rappresentata dai rispettivi consiglieri maître à penser, con licenza d’interviste: Mons. Georg Gänswein e Goffredo Bettini.
Due eminenze grigie, influenti e spesso decisive per le decisioni del Papa Emerito, che probabilmente in cuor suo avrebbe preferito ritirarsi a pregare nell’anonimato, e dell’ex segretario Pd che a detta di molti avrebbe mollato volentieri Nazareno e Pisana. Destini singolarmente paralleli, preceduti dalle ombre lunghe dei consiglieri
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