by Augusto Cavadi
Per le tante persone (credenti in senso religioso o meno) che non amano aggiornarsi sull’evoluzione delle varie discipline, Hans Küng non dice nulla. Per chi, invece, legge almeno un pò, la sua morte (6 aprile 2021) è una data significativa. La Chiesa cattolica – da più di mezzo secolo spaccata a metà come una mela dal Concilio ecumenico Vaticano II (1962 – 1965) ha perduto un inevitabile riferimento, per alcuni polemico per altri luminoso.
Per una prima metà, il Concilio ha segnato il massimo dell’apertura possibile e dunque un punto di arrivo oltre il quale non si potrebbe andare: è la metà che scherzosamente chiamo ‘benedettina’ perché ha in Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, il suo leader più prestigioso. Ai suoi occhi, Küng è stato un critico severo e appassionato, disposto a subire ogni genere di provvedimento disciplinare (ad esempio il ritiro dell’autorizzazione a insegnare teologia cattolica nelle università) pur di mantenersi libero di comunicare al pubblico i risultati – talora sconvolgenti – della ricerca biblica e sistematica.
Per l’altra metà della Chiesa (intesa anche qui complessivamente: non solo vescovi e preti, ma anche laici e laiche) il Vaticano II ha segnato solo l’inizio di un processo di apertura: è la metà che scherzosamente chiamo ‘francescana’ perché ha in papa Francesco l’esponente più prestigioso. Ma attenzione: non il suo leader.
L’omologo di Ratzinger non è Bergoglio, ma Hans Küng: è lui che ha guidato chierici e laici verso nuovi orizzonti teologici e spirituali. Direi dunque, con la brutalità inevitabile degli slogan, che con la morte di Küng i conservatori perdono il più grande avversario e i progressisti la loro guida carismatica.
Vorrei strappare all’oblio inevitabile un ricordo personale. Nel 1996 si voleva invitare Küng in Sicilia, ma egli aveva dichiarato di essere stanco di girare il mondo e che, in Italia, si era visto perfino disdire la sera prima la possibilità di parlare in pubblico per divieto del vescovo di una diocesi. Allora il Centro ecumenico a-confessionale “La Palma” di Cefalù sperimentò un piccolo stratagemma per attirare quel personaggio che era già una leggenda vivente: si affidò al maestro Giuseppe Testa il compito di musicare un testo ‘ecumenico’ scritto da Küng (una versione del ‘Padre nostro’ tale che potesse essere recitato da ebrei, cristiani e musulmani insieme) e lo si invitò alla ‘prima mondiale’ di quell’ “oratorio” per voce solista, coro e orchestra (“Fili d’amore, fili nello spazio”). Küng, vinto dalla curiosità, accettò di spostarsi a Cefalù e vi tenne una delle sue splendide conferenze sulla necessità di concentrarsi su ciò che unisce le tre grandi religioni monoteiste per lavorare alla pace nel mondo.
Con l’occasione gli omaggiai i due volumi (Il vangelo e la lupara) che avevo da poco pubblicato sui rapporti fra chiesa cattolica e mafia ed egli accolse con l’abituale sorriso sornione la sottolineatura di alcune inquietanti somiglianze fra la struttura gerarchica ecclesiastica e l’organizzazione territoriale di cosa nostra.
Pochi anni fa gli chiesi l’autorizzazione a ripubblicare, con una breve mia prefazione, il suo saggio sulla figura di Tommaso Moro (Libertà nel mondo) ed egli si dichiarò molto contento della proposta: così, tratteggiando il ritratto del personaggio cinquecentesco, Küng ci ha lasciato involontariamente una sorta di autoritratto.
Fonte: la foto di copertina di Hans Küng è tratta dal blog aldomariavalli.it