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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Nell’immaginario collettivo di noi meridionali il Settentrione d’Italia è il luogo dove ci si trasferisce in cerca di ciò che si stenta a trovare a casa propria: un lavoro remunerato dignitosamente.
Almeno sino al passaggio dalla fase industriale alla fase telematica, post-industriale, è stato realmente così. Infatti Lombardia e Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna hanno fruito di una rete sviluppata di trasporti (non solo viaria e ferroviaria, ma anche fluviale) e di una vicinanza – talora una vera e propria continuità – con Stati europei più avanzati economicamente.
Soprattutto le popolazioni settentrionali hanno mostrato, mediamente, maggiore spirito imprenditoriale e maggiore libertà di concorrenza, grazie a minori interferenze mafiose che falsano la libertà di mercato.
Eppure…Eppure, se molti emigrati ritornano e non pochi cittadini settentrionali decidono di trasferirsi al Sud una volta raggiunta la condizione di pensionati, vuol dire che sono attratti da qualcosa che manca – o difetta – al di sopra del parallelo di Roma.
In una parola, si potrebbe sintetizzare questo ‘qualcosa’ come qualità della vita potenzialmente migliore. Una sorta di inversione della questione medidionale.
In realtà in Puglia e in Campania, in Calabria e in Sicilia, nonostante tanti inconvenienti, la gente non solo gode di un clima più confortevole e di un insieme notevole di bellezze naturali e artistiche sovrabbondanti, ma vive con ritmi meno stressanti e stabilisce relazioni umane più spontanee.
Alcune forze politiche, spalleggiate da intellettuali privi di scrupolo, vorrebbero alimentare la contrapposizione dualistica fra questo Settentrione e questo Meridione. Ma è una trappola che distrae dalla vera contrapposizione: da una parte i privilegiati del Nord e del Sud (con redditi molto alti e perfino rendite parassitarie), dall’altra gli sfruttati del Nord e del Sud che, nonostante la fatica quotidiana, stentano a sbarcare decentemente il lunario.
Si tratta, invece, di raccogliere l’invito, ormai antico, di Massimo D’Azeglio: fatta l’Italia, resta da fare gli italiani. Cioè scambiare i talenti, migliorando ciò che può essere migliorato al Nord come al Sud.
Da una parte, infatti, ”il Sud, con la sua lentezza, con tempi e spazi che fanno resistenza alla legge dell’accelerazione universale può diventare una risorsa” (così il compianto Franco Cassano nel suo Il pensiero meridiano); dall’altra parte, il Nord può contagiare ai meridionali l’etica del lavoro, concepito non più quale segno di inferiorità come per i greci o di presunta maledizione divina come per gli ebrei, ma di auto-realizzazione e di costruzione della città ideale.
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Giornalista pubblicista, Filosofo. Fondatore della Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo