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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Probabilmente oggi, in Italia, mancano le condizioni socio-politiche per un ritorno del fascismo in senso storico, ‘tecnico’ (per intenderci un regime accentrato nelle mani di un Mussolini, Hitler, Franco o Salazar). Ma – come avvertiva Umberto Eco – c’è anche un fascismo “eterno” o, per lo meno, persistente nel tempo che è intessuto di disprezzo delle maggioranze democratiche, rifiuto delle istituzioni rappresentative, sovranismo nazionalistico, militarismo bellicista, xenofobia razzista, diffidenza verso la libertà di pensiero in generale e di ricerca scientifica in particolare… Questo fascismo ideal-tipico potrebbe essere sconfitto solo se si replicasse, imprevedibilmente, il ‘miracolo’ che ha consentito la sconfitta del fascismo italiano del XX secolo: l’aggregazione in un fronte sinergico di cittadini di varia provenienza ideologica (dai comunisti e i socialisti ai liberali ed ai cristiani, dai repubblicani ai monarchici risorgimentali) e geografica (dalle Alpi alla Sicilia).
Queste considerazioni, purtroppo attuali, mi sono suggerite dalla lettura di un intrigante racconto, sul registro storico-letterario, di Antonio Ortoleva (Non posso salvarmi da solo. Jacon, storia di un partigiano, Prefazione di Enrico Pagano, Navarra, Palermo 2021, pp. 142, euro 12,00) che ha per protagonista un giovane partigiano siciliano – più esattamente di Isnello, gradevole centro delle Madonie – caduto in Piemonte nel 1945. Un combattente come tanti (come si sottolinea nel testo, il contributo alla Resistenza da parte di cittadini meridionali è stato tanto consistente quanto trascurato storiograficamente), ma contraddistinto da una singolarità. Catturato dai fascisti insieme a 20 compagni, si vide offrire dal comandante (anch’egli meridionale) di cui era prigioniero la possibilità di aver salva la vita se solo avesse acconsentito al tradimento.
Secondo la testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage di Salussola, Sergio Canuto Rosa detto “Pittore”, la sua toccante risposta non lasciò adito a equivoci. Ovviamente non si conoscono le parole esatte pronunciate da Jacon Ortoleva, ma il senso complessivo è chiaro: non voglio tradire i miei compagni, non voglio salvarmi da solo.
Antonio Ortoleva, da decenni attento studioso di antifascismo, inserisce la storia dell’omonimo partigiano nel contesto della Resistenza e del passaggio – non privo di ombre – dal regime fascista alla Repubblica democratica: “migliaia di dirigenti e comuni partigiani, smessi i panni militari”, vennero “poi rivestiti da quelli di imputato”. Si scatenò “una vera e propria caccia al partigiano che produsse, tra il 1948 e il 1960, 92.000 tra arresti e processi, mentre i fascisti venivano amnistiati o uscivano dalle galere dopo pochi mesi o giorni e chi aveva governato la giustizia, l’ordine pubblico e le amministrazioni nel Ventennio, come magistrati, prefetti e dirigenti di polizia, sindaci, restò in prevalenza al proprio posto o, addirittura, ebbe avanzamenti di carriera” (pp. 90 – 91). Non solo “non ci fu una Norimberga dei fascisti italiani” (p. 93), ma neppure un’autocritica nazionale da parte di quanti – pur senza militare attivamente nei ranghi del PNF – si sono resi complici, con il proprio silenzio passivo, di un regime devastante. Anzi, si costruì e si alimentò lo stereotipo, tutt’ora vigente, degli “Italiani brava gente”.
Da questi brevi cenni si evince che il libro, di gradevole fruizione, può costituire anche per le fasce giovanili – nelle scuole e nell’associazionismo – un’occasione sia per colmare lacune di informazione storica troppo diffuse sia per ricordare che sono esistiti anche ai nostri giorni giovani che hanno trovato il senso della vita nel rischiarla per progetti di ampio respiro.