by Augusto Cavadi
Come è (o dovrebbe essere) noto, la Bibbia attuale è scandita in due grandi parti: il Primo Testamento (testo sacro per ebrei e cristiani) e il Secondo Testamento (testo sacro solo per i cristiani).
Nel Primo Testamento campeggia un’idea di Dio complessa che, tra l’altro, varia a seconda dei libri che ne trattano (in tutto, secondo il canone cattolico, 46): nei suoi tratti dominanti, si può affermare che ad essere adorato è un Padre-Patriarca-Padrone onnipotente, dalla volontà imperscrutabile.
Non mancano accenni alla maternità di questo Dio (“Può una madre dimenticarsi del proprio figlio? Quand’anche una madre si dimenticasse del proprio figlio, io non mi dimenticherò di te, Gerusalemme!” Isaia 49, 8 – 15), comunque i lineamenti prevalenti sono decisamente maschili (Signore, sposo, giudice, capo di eserciti e così via).
Gesù (considerato ovviamente così come ci viene rappresentato dai vangeli e dagli altri testi del Secondo Testamento, prescindendo dunque dalle elaborazioni dottrinarie-dogmatiche dei due millenni successivi) può essere capito solo se inserito nella sua tradizione ebraica: ma, proprio se prendiamo sul serio la sua appartenenza etnica e la sua fedeltà alla Bibbia ebraica, non possiamo non restare colpiti dalla novità del suo messaggio su Dio.
Il Dio di Gesù è ancora chiamato prevalentemente con nomi maschili (“Il Padre mio”, “il padrone della vigna”, “il seminatore”…), ma egli ne accentua gli aspetti femminili, materni.
In un celebre quadro di Rembrandt, il pittore raffigura l’abbraccio del padre al figliuol prodigo ritornato a casa. I critici d’arte hanno concentrato l’attenzione sulle mani del padre anziano, “il fulcro di tutta la composizione”: “La destra, affusolata, femminile; la sinistra, robusta, maschile. Ci dicono semplicemente che Dio Padre è tutto, che in Lui convivono maternità e paternità. E che solo da qui, da questa divina congiunzione, può nascere una creatura nuova” (Margherita del Castillo in http://www.lanuovabq.it/it/rembrandt-le-mani-del-padre-racchiudono-il-mistero).
Come maternalizza l’immagine della Sorgente dell’universo e della storia, così Gesù prova a incarnare una nuova immagine di maschio: la teologa protestante, e psicoanalista junghiana, Hanna Wolff vi riconosce addirittura una “maschilità esemplare” (H. Wolff, Gesù, la maschilità esemplare. La figura di Gesù secondo la psicologia del profondo, Queriniana, Brescia 1979).
Egli mostra un’estrema facilità di relazione con le donne, amiche o discepole o incontrate per caso: non le teme, non le denigra, non le offende. Accoglie il femminile fuori di sé perché ha imparato a riconoscere e ad accettare il femminile dentro di sé.
Dopo la morte del Maestro, i primi cristiani appaiono incerti sulla direzione da imboccare: continuare sulla linea della rivoluzione gesuana o lasciarsi risucchiare dalla nostalgia della Tradizione androcentrica e patriarcale?
Già nell’epistolario paolino (più o meno apocrifo) si registrano delle significative oscillazioni. Da una parte, infatti, si legge che “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Lettera ai Galati, 3, 28). Ma, dall’altra, si legge anche: “Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti” (Prima Lettera ai Corinti 14,34).
Dopo l’era apostolica, prevale di gran lunga l’orientamento misogino: da Tertulliano nel II secolo (“Donna, tu dovresti sempre menar vita misera e triste, con gli occhi pieni di lacrime e di pentimento per far dimenticare che fosti tu a condurre a rovina il genere umano. Donna, tu sei la porta dell’inferno, tu hai mangiato dell’albero proibito, tu per prima hai disobbedito alla legge divina, tu hai convinto Adamo, perché il Demonio non era coraggioso abbastanza per attaccarlo, per colpa tua morì il Figlio di Dio”) a Pio XI nel XX secolo (“Quella società domestica che è il matrimonio deve essere consolidata dall’ordine dell’amore, che implica la supremazia del marito sulla moglie e i figli, e la sottomissione premurosa della moglie così come la sua spontanea obbedienza”).
Non per giustificare la misoginia clericale, ma per onestà intellettuale devi aggiungere che essa si è variamente intrecciata (condizionandola, e restandone condizionata) con una non meno dura misoginia “laica”. “L’educazione della donna va realizzata in funzione dell’uomo. Piacer loro, divenir loro utili, farsi da essi amare ed onorare, educarli giovanetti, assisterli adulti, consigliarli, consolarli, procurar loro una vita quieta e piacevole: questi sono in ogni età i doveri delle donne, e ciò che si deve loro insegnare fin dai primi anni”: così Jean Jacques Rousseau nel XVIII secolo.
E, un po’ dopo, nella prima metà del XIX, P. Proudhon calcava la mano: “La donna è una specie di termine medio tra l’uomo e il resto del regno animale…Nell’ordine mentale come nella generazione, la donna non apporta nulla di personale: è un essere passivo, snervante, di conversazione e di carezze estenuanti. Chi desideri conservare in pienezza le proprie energie corporali e spirituali deve rifuggirla. La donna è omicida”.
Nello scenario attuale ci sono alcuni uomini che hanno intuito che il rifiuto della propria dimensione femminile – e il conseguente disprezzo del genere femminile – non è soltanto ingiusto verso l’altra metà del cielo: è anche, e prima ancora, un autolesionismo, un’automutilazione. Per ciò, da una ventina d’anni, hanno costituito alcuni gruppi di autocoscienza maschile confluiti nel Movimento nazionale “Maschile plurale”: gruppi più diffusi nell’Italia Settentrionale e molto meno da Roma in giù.
Da quattro anni, in Sicilia, abbiamo costituito il Gruppo “Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”, ospitato nella “Casa dell’equità e della bellezza”:una piccola realtà che stenta a trovare adesioni, ma che comunque rappresenta un simbolo profetico in attesa di tempi più maturi.