Nella babele del conflitto che da anni divora la Libia, l’inizio del 2020 sta per assumere risvolti ancora più tragici.
L’entrata in scena, nelle vesti di signore della guerra, del Presidente turco Recep Erdoğan, sembra completare assieme a Putin e al leader egiziano al Sisi la metafora dei Re Magi armati di missili e bombe.
“Realpolitik. La Turchia sfrutta il caos interno alla Libia per realizzare le sue ambizioni egemoniche nel Mediterraneo”, sottolinea l’ analista di strategie geopolitiche e militari Michela Mercuri, docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di Libia.
Per Arduino Paniccia, esperto di strategia militare e di geopolitica, Presidente della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia: “in Libia stiamo sperimentando un modello turco diverso di alleanze e interventi militari rispetto a quello della Siria. Modello che ha come presupposto la continuazione della politica di Erdogan, tesa alla instaurazione dell’influenza turca, di stampo neo ottomana, nell’area medio orientale e in nord Africa, sfruttando gli opposti interessi di Washington e Mosca per mantenersi in bilico fra Trump e Putin.”
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L’intervento turco a Tripoli accentuerà ulteriormente il conflitto o stabilizzerà la situazione?
Mercuri: Tre sono le direttrici di Erdogan. La prima è di natura religiosa: rafforzare la fratellanza musulmana in Libia. La seconda è di natura geopolitica: affermare il ruolo di player indispensabile nel Mediterraneo. La terza è di natura economica: sfruttare le risorse dell’area. Da qui l’accordo con Serraj per creare una Zee – Zona economica esclusiva – tra Turchia e Libia, ottenendo il monopolio di una porzione nevralgica del Mediterraneo orientale, compresi i diritti di estrazione di petrolio e gas e i relativi gasdotti che solcheranno quella zona, sottraendoli a molte altre imprese, Eni inclusa. Tripoli è per Erdogan il fulcro di ognuna di queste direttrici. Da qui l’appoggio a Serraj a cui si sta sostituendo nella gestione del conflitto con il generale Khalifa Haftar e i suoi alleati.
Paniccia: Le dittature non temono le contraddizioni. In Libia Erdogan sta facendo l’opposto di quanto ha fatto in Siria, dove per anni ha armato milizie e rivolte contro Assad. Prima ancora della scontata l’approvazione all’intervento da parte dell’ assemblea turca, saranno utilizzate sia le milizie di supporto che hanno già combattuto in Siria agli ordini dei turchi sia le nuove Milizie libiche e dei volontari per costituire una fascia costiera libica sul modello appunto della fascia di interposizione attuata negli ultimi mesi in Siria. Erdogan si confronterà con i russi che sostengono Haftar secondo il modello di spartizione del territorio attuato in Siria. Dietro le quinte l’alleanza Erdogan Putin punta al controllo delle risorse petrolifere, a scapito dell’Eni che a causa dell’emarginazione del nostro Paese dovrà scendere a patti con entrambe le parti.
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Dalla Somalia al Sahel alla Libia: cosa c’è da aspettarsi nel 2020 in Africa sul fonte del terrorismo?
Mercuri:Il terrorismo di matrice jihadista rischia di rafforzarsi nei prossimi mesi, soprattutto nel nord Africa. I gruppi jihadisti si muovono verso le aree più caotiche, dove possono riorganizzarsi e colpire con più facilità. Maggiore é l’instabilità di un’area, maggiore é la tentazione per i gruppi terroristi di recarvisi. In questo momento la Libia é un paese in preda a una guerra civile e dunque manna dal cielo per i gruppi jihadisti che possono sfruttare un failed state a poche miglia marittime dall’Italia. Nel sud libico la presenza di affiliati a Isis o ad altri gruppi terroristici è assodata da tempo. Ora la loro numerosità e le loro capacità operative potrebbero aumentare anche in conseguenza del caos che regna nel paese e che rende i suoi confini molto porosi. Se a questo aggiungiamo che la Turchia starebbe inviando in Libia, dalla Siria, miliziani appartenenti ad alcuni gruppi jihadisti , il quadro si fa sempre più a tinte fosche. Infine, non dimentichiamo che l’instabilità libica potrebbe mettere in crisi anche i vicini regionali, Tunisia ed Algeria in particolare, in cui è radicata la presenza di gruppi terroristi, come Aqmi– Al Qaeda nel Maghreb islamico. Da questa prospettiva il 2020 non promette bene.
Paniccia: Il terrorismo trasnazionale iniziato con ” la base” di al Quaeda in Afganistan ha decisamente perso, pur con tutte le sue trasformazioni e mutazioni, molta capacità e impatto. Ha puntato con i foreign fighters e i lupi solitari contro l ‘Europa, ma l’operazione è risultata spesso solo mediatica. Il terrorismo quindi sceglierà di consolidarsi nel nord africa e nel Sahel e nel subcontinente asiatico, dove la massiccia presenza di popolazioni islamiche consente ai terroristi, secondo i dettami di Mao di muoversi come pesci nell’ acqua. Questo oggi non possono farlo, anche se vi sono cellule dormienti, né in Usa, né in Russia né in Cina. La guerra che oggi si combatte in Libia, la situazione di paesi in conflitto permanente come la Somalia rendono queste aree geografiche ideali per nuove basi e la prosecuzione delle attività più coperte, necessitando di minori risorse e mimetizzazioni e aiutati dalle popolazioni. Il terrorismo nelle aree abbandonate a se stesse proseguirà con ancora maggior forza anche in futuro.
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E sul piano internazionale, aree di maggiore rischio?
Mercuri: Dalla Siria, alla Libia, passando per lo Yemen, tutto il Medio Oriente allargato rischia di diventare la spina nel fianco della comunità internazionale negli anni a venire. Purtroppo si tratta di guerre alimentate da attori esterni, che hanno tutto l’interesse a portare avanti conflitti locali piuttosto che a “deporre le armi”. Potrebbe spegnersi per un pò un conflitto, come ad esempio quello libico con possibile accordo russo-turco, tuttavia nuovi conflitti potrebbero aprirsi o riacutizzarsi. Gli ultimi quindici anni (perlomeno) ci hanno mostrato l’inesorabile ripetersi di questo poco edificante spettacolo. Temo che il 2020 non ci riserverà delle sorprese in tal senso. L’augurio, tuttavia, è quello di essere smentita dai fatti!
Paniccia: Mentre le grandi potenze occidentali continuano le proxy wars, le guerre per procura, con alleati a geometria variabile, la Russia prosegue la sua marcia nel Mediterraneo. Le aree di instabilità maggiore sono i paesi all’indice: l’Iran, le fasce islamiche sub continentali asiatiche e il Sahel insieme alla sponda nord africana e all’area del corno d’ Africa. Qui gli attacchi non sarebbero comunque casi isolati, ma dettati da regie di contiguità sostenute da medie potenze in guerra fra loro ( Turchia, Arabia Saudita, Iran ) o dalla lotta nell’area energetica.