Mani pulite e serenità d’analisi. Possibile? Basta partire dalla constatazione, colta da uno scienziato come Albert Einstein, che “il tempo è relativo ed il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando”.

Il rapporto fra passato e presente dei 30 anni trascorsi, non soltanto per la politica, ma anche per la magistratura, le istituzioni e il giornalismo, ha profondamente modificato le valutazioni e contribuito a scandagliare a fondo il contesto complessivo.
Se per la politica il trentennale di mani pulite equivale ad un viaggio nell’archeologia dei leader, delle correnti e della profonda stratificazione della corruzione di molti dei politici e del finanziamento illecito di tutti i partiti, per la magistratura e il giornalismo l’epopea del pool milanese rappresenta una sorta di catarsi incompiuta.
Per sgombrare il campo dalla retorica degli anniversari, quella retorica che non a caso per Platone è “l’arte di governare le menti degli uomini”, schivando la carica degli interrogativi autocelebrativi su “cosa resta delle inchieste giudiziarie di Mani Pulite (rigorosamente scritto con le iniziali maiuscole) che fecero crollare la prima Repubblica?”, basterà non soffermarsi esclusivamente sui bilanci relativi ai 2565 indagati, i 1408 condannati, i 544 assolti ed i 448 prosciolti per prescrizione, e non tralasciare coloro che si suicidarono e neanche l’imperscrutabile numero delle fughe di notizie con effetti collaterali mai considerati.
Dopo trent’anni, oltre alla verità dei Tribunali, si è giunti oggi ad una verità storiografica che dia conto complessivamente di quella stagione e vada oltre i fenomeni di corruzione?

Solo in parte bisogna riconoscere, perché oltre alla simil apologetica del pool di magistrati di mani pulite, il Procuratore Saverio Borrelli, Di Pietro, D’Ambrosio, Davigo, Colombo, Greco e gli altri; oltre all’esegesi dei segretari della Dc e del Psi, Forlani e Craxi, interrogati a reti unificate durante il dibattimento; ed ancora oltre alle immagini di Bettino Craxi braccato all’uscita dell’albergo, vi è anche il contemporaneo avvio della nemesi della magistratura e del giornalismo.
Nemesi che inizia ad essere catalogata con la pubblicazione sulle prime pagine dei quotidiani dell’avviso di garanzia per l’allora Premier Silvio Berlusconi. Un premier nel bene e nel male intento a presiedere il vertice internazionale del G8 a Napoli.
Accanto all’indiscutibilmente meritorio e positivo impatto delle inchieste giudiziarie milanesi, connotate dalla lotta alla corruzione, alle tangenti, al malaffare, che fino ad allora non erano mai state un sistematico cavallo di battaglia della magistratura, si è contestualmente moltiplicata l’incidenza del ruolo politico delle toghe e la stretta interdipendenza delle correnti dell’Anm con la stampa.
Ruolo e interdipendenza lievitati e sfociati nel marasma dei cosiddetti casi Palamara ed Amara, nelle ondate di dimissioni di numerosi componenti togati del Consiglio Superiore della magistratura, nell’avvio di delicate verifiche su presunte inerzie di magistrati e Procure e con l’azzeramento di diverse nomine di vertici giudiziari.
Fra le tante domande che attendono una risposta dalle verifiche storiche, una in particolare riguarda il raggio d’azione, se a 30, a 90 oppure a 180 gradi, della lente d’ingrandimento del controllo di legalità su tutte le forze politiche e i protagonisti dell’intero panorama nazionale dell’imprenditoria.
Mani pulite 30 anni dopo, dunque, al netto di cause ed effetti ? Non solo é cambiata la geografia di partiti, ma sono implose più classi politiche, mentre la magistratura continua ad attraversare delicate fasi di autoanalisi. E la corruzione? Moltissimo è rimasto purtroppo com’era, a cominciare dai miliardi di euro di tentate truffe per i superbonus dell’edilizia.
Evidenti anche le evoluzioni dell’incidenza politica di giudici e giornalisti. Come rivela l’impasse che si appresta a scontare la travagliata riforma del Csm, affidata dal Governo all’approvazione dei partiti in Parlamento.
Un’impasse riconducibile al riflesso condizionato di mani pulite. Perché spesso, come temeva Pietro Calamandrei, “quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”.