Dopo i magistrati esponenti del Csm Loredana Micciché e Paola Braggion i penalisti Enrico Sanseverino e Francesco Caroleo Grimaldi ed il costituzionalista Giuseppe Lauricella nel dibattito sulle riforme più urgenti ed essenziali per scongiurare lo tsunami che sta per abbattersi sulla Giustizia interviene il Senatore Piero Grasso
by Piero Grasso*
Uno dei modi per misurare l’efficienza di uno Stato è la sua capacità di rinnovarsi, senza intaccare i principi fondamentali su cui si fonda.
L’emergenza che stiamo vivendo ha costituito un acceleratore di molti processi che erano iniziati da anni ma procedevano con molte difficoltà, primo su tutti quello della digitalizzazione della Pubblica amministrazione. Da questo punto di visita le innovazioni testate in questa fase, dopo una attenta analisi dei risultati, possono rappresentare un’occasione per ripensare ed innovare alcuni segmenti del nostro ordinamento.
La giustizia deve essere uno di questi segmenti. Del resto la storia della legislazione italiana ci ha insegnato che è proprio durante i periodi di crisi che si sono innescate svolte epocali, penso ad esempio alla legislazione dell’emergenza nata durante il periodo delle stragi di mafia negli anni ’90, che oggi lascia in dote agli operatori della giustizia strumenti di azione di eccezionale efficacia.
Sulla possibilità di effettuare le udienze penali da remoto e più in generale sul completare l’opera di ammodernamento della macchina giustizia anche mediante la digitalizzazione, sono favorevole e lo sostengo da anni. Negli ultimi mesi ho anche provato (invano) ad introdurre misure in tal senso, attraverso degli emendamenti, nel provvedimento cd Spazzaccorrotti, che chiaramente precede il Coronavirus.
Quanto previsto fino ad ora, e soltanto temporaneamente fino al 30 giugno, è che tutti i collegamenti da remoto siano individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Glauricellaustizia. In estrema sintesi si possono svolgere da remoto le udienze con detenuti e quelle che non richiedano presenza di testimoni, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti.
Nel decreto è specificata la modalità: il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al PM e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento; i difensori attestano l’identità degli assistiti che, tranne se detenuti, partecipano all’udienza dalla medesima postazione da cui si collega il difensore; la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all’udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio di P.G attrezzato, e in tal caso l’identità è accertata dall’ufficiale presente; l’ausiliario del giudice partecipa all’udienza dall’ufficio giudiziario e dà atto nel verbale d’udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell’impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale. Nel corso delle indagini preliminari il PM e il giudice possono avvalersi di collegamenti da remoto per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone. Il compimento dell’atto avviene con modalità idonee a salvaguardarne la segretezza e ad assicurare la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di consultarsi riservatamente con il proprio difensore.
Nei procedimenti non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto e dopo la deliberazione il provvedimento è depositato in cancelleria. Le soluzioni normative sino ad ora adottate, peraltro temporanee e in vigore sino al 30 giugno 2020, si giustificano solo con la situazione d’emergenza che ha imposto, a difesa della salute pubblica, il distanziamento sociale e il minor contatto possibile tra le persone. Sarebbe una occasione sprecata non sfruttare anche dopo l’emergenza, di cui peraltro non è prevedibile una fine, alcune novità per incentivare le udienze da remoto per esempio in appello, qualora non ci sia la necessità di rinnovare il dibattimento. Si potrebbero così forse evitare richieste di rinvio per impegni contestuali, consentendo al difensore di collegarsi da remoto, ove vi sia il suo consenso.
Ormai le tecnologie avanzate esistenti, ma che vanno acquisite dal Ministero della Giustizia, sono perfettamente in grado di assicurare la genuinità e veridicità delle attività svolte, di cogliere sfumature nelle domande e nelle risposte, di poter formulare la domanda più opportuna, di mantenere insomma impregiudicata quella immediatezza e percezione diretta che garantisca l’oralità del dibattimento, il diritto di difesa e il contraddittorio tra le parti.
A mio avviso, in queste condizioni di tecnologie avanzate, anche la spiegazione di una questione tecnica da parte di un consulente, la valutazione circa la genuinità della dichiarazione di un testimone (assunta con le garanzie sulla sua identità e non influenzabilità da fattori o persone esterne) possono essere colte anche col processo da remoto. Il medesimo meccanismo potrebbe essere utilizzato per evitare alcuni spostamenti dei testimoni di polizia giudiziaria, cosiddetti verbalizzanti, magari trasferiti di sede, che vengono chiamati a testimoniare molti anni dopo aver svolto le indagini, su fatti di cui non hanno più un ricordo preciso, e che si limitano a ripercorrere quanto indicato negli atti da essi redatti e sottoscritti.
Non si comprende questo clima di scontro e di barricate da parte degli organismi rappresentativi degli avvocati, che si sono ideologicamente e pregiudizialmente opposti (al punto da non stipulare alcun protocollo sul processo da remoto) verso strumenti che non saranno mai obbligatori, ma condizionati dalla logistica dei locali, dalla complessità o rilevanza dell’oggetto del giudizio e affidati al prudente apprezzamento dei magistrati nel disporli, col consenso delle parti, soltanto allorché il processo o una parte di esso ne consenta l’applicazione, per accelerarne il lento procedere e per utilizzare più razionalmente le risorse, mai eccelse, della giustizia.
Sono convinto che quanto previsto dalla legge c.d. “Cura Italia” offra un buon impianto di partenza su cui lavorare. Il presupposto assolutamente indispensabile è l’ammodernamento da parte del Ministero della Giustizia della rete digitale degli uffici giudiziari e degli istituti penitenziari, nonché l’individuazione e l’emanazione di linee guida organizzative, lasciando poi ai capi degli uffici prima ed ai singoli magistrati o presidenti dei collegi poi. con la collaborazione di tutti gli operatori giudiziari e soprattutto dell’Avvocatura, di ogni necessaria valutazione, caso per caso, sulla fattibilità concreta, sulle condizioni, sui criteri da seguire a garanzia dei principi fondamentali che sorreggono il processo penale.
Sono sempre stato convinto che nessuna riforma sia seria se non prenda in considerazione il processo penale nella sua globalità.
Pensando al futuro occorre una riforma organica e in proposito, poco prima dello scoppio dell’emergenza, con il Governo eravamo arrivati ad una bozza, che si poteva ancora migliorare, di riforma della giustizia penale. Le udienze da remoto però sono solo uno dei tanti tasselli da approfondire, perché per garantire più celerità ed efficienza ai processi non si possono non considerare i tanti “colli di bottiglia” che rallentano il sistema.
*Senatore, già Presidente del Senato della Repubblica e in precedenza Magistrato, Procuratore nazionale antimafia e Procuratore capo a Palermo